Alcuni funzionari della Federal Reserve temono che la linea di “tapering” della banca, per quanto graduale, possa ancora scatenare un crollo a catena del sistema finanziario. Lael Brainard (nella foto), ex Sottosegretaria al Tesoro e attuale membro del Consiglio della Fed, considerata una “colomba” in politica monetaria, ha lanciato un allarme piuttosto dettagliato – per quanto concesso a un banchiere centrale – sul pericolo di una ondata di insolvenze del debito delle imprese.

Parlando a Washington il 19 aprile, la Brainard ha parlato di “elevati prezzi degli asset” e di “leva eccessiva”, che significa troppo debito societario.

“La leva finanziaria al di fuori del settore finanziario è salita a livelli relativamente alti in termini di tendenze storiche”, ha dichiarato. “Nel settore non finanziario il rapporto debito/reddito è aumentato fino a quasi i massimi storici e la leva netta è specialmente elevata tra le imprese con rating speculativo [spazzatura].” Dal marzo 2017 al marzo 2018, il numero di fallimenti di imprese non finanziarie è aumentato del 60%.

Infatti, come questo bollettino ha spesso denunciato, negli Stati Uniti il rapporto tra il debito delle imprese non finanziarie e il PIL è oggi maggiore di quello agli apici della crisi finanziaria (45% nel terzo trimestre 2017). L’ottobre scorso ha superato la cifra di mille miliardi di dollari.

La Brainard ha concluso, cercando di minimizzare: “Come abbiamo visto in cicli precedenti, gli choc negativi inaspettati sulle entrate, uniti all’aumento dei tassi d’interesse, potrebbe portare a livelli crescenti di morosità tra i debitori e relativi stress per i bilanci di qualche banca”.

In altre parole, quando la Fed farà scoppiare questa bolla ipergonfiata dai debiti nel tentativo di ridurla con l’aumento dei tassi, il sistema bancario entrerà nuovamente in crisi.

La Banca Centrale Europea ha agito in riferimento alla stessa crisi quando il 27 aprile Mario Draghi ha annunciato che “rimane necessario un alto grado di stimolo monetario (…) nel medio periodo, giustificandolo con un “inaspettato” rallentamento della crescita economica.