Traduciamo il discorso pronunciato da Maelle Mercier, membro dell’Institut Schiller francese, durante la conferenza internazionale tenuta a Parigi il 13-14 giugno 2015.

Siamo un gruppo di giovani militanti che hanno studiato Jean Jaurès tenendo presenti le sfide odierne, ed il momento decisivo del XX secolo nel quale, non soltanto fu assassinato, ma l’umanità cominciò a cadere in una nuova barbarie, quella delle trincee e delle ideologie.

Perché ci siamo riuniti qui? Che cos’è all’origine dello slancio dei BRICS verso un nuovo paradigma, fatto di progetti di infrastrutture reali, che si diffondono nel mondo come un incendio?

Ebbene, è un’idea; niente di più e niente di meno. Un piccolissima idea che, per quanto possa essere infinitesimale, è in grado di elevare degli uomini, spostare delle montagne e presto anche cambiare l’universo (un Nuova Via della Seta spaziale e un programma lunare!).

Questa idea non avrebbe potuto germinare negli animi pragmatici, negli animi “realistici” come quelli dei nostri dirigenti occidentali. Perché? Perché essi sono programmati per ragionare in funzione di un sistema dato, con la sua ben definita geopolitica, i suoi debiti, i suoi contratti, i suoi rapporti di forza tra dominatore e dominato; perché essi non ragionano se non in funzione di ciò che vedono, di ciò che già esiste o di ciò che è già esistito.

Senza l’immaginazione, senza la potenza dell’intelletto, dunque senza la capacità personale di trasportarci al di là del presente e della materia, il futuro è condannato.

La questione per la nostra civiltà è dunque di renderle la sua parte ideale, d’infinito. Una cosa assai difficile in questa controcultura materialista, violenta, sessuale, in cui l’essere umano è ridotto allo stato animalesco, determinato esclusivamente dai suoi istinti e dai suoi sensi. Ancor più difficile qui in Francia, nel Paese del dubbio cartesiano che prevede come sola alternativa a tale abbrutimento, non già “l’ideale” ma la prigione dell’astrazione matematica e dell’analisi che rende impotenti (i francesi, si sa, protestano, commentano, ma non agiscono)! Per rendere all’uomo la piena umanità e restituirgli la capacità di trasformare e di creare nuove condizioni per il futuro, occorre in poche parole armonizzare le sue emozione e la sua ragione, e ricreare la sua facoltà di immaginare.

Se questo è il ruolo dell’arte (sviluppata meravigliosamente da Friedrich Schiller), della filosofia e della scienza (con il grande contributo di Leibniz), v’è anche un ruolo alla portata della politica?

Sì, come dimostra la battaglia filosofica di Jean Jaurès, ispirato giustamente da Leibniz e Schiller.

Jean Jaurès, com’è noto, fu assassinato per aver cercato di impedire la Prima Guerra Mondiale, che portò al collasso di grandi potenze che, come oggi, erano in procinto di formare una nuova alleanza, un nuovo modello di pace tramite il progresso, e perché l’Impero Britannico la considerava pericolosa. Così, Francia, Russia e Germania, grazie a certe élite (delle quali i più celebri esponenti furono Gabriel Hanotaux e Sergej Vitte), avevano gettato, con la ferrovia Berlino-Baghdad e il progetto della Transiberiana e, le prime basi della Nuova Via della Seta…

Nuvole grigie, tuttavia, si addensarono all’orizzonte, sostando per un po’ sulla Francia, prima di estendersi, più tardi fino agli anni Trenta, fino all’Italia e alla Germania. Erano le stesse nubi di cui Jaurès disse:

“Il capitalismo porta in sé la guerra come le nuvole la tempesta…”

Jaurès era nato nel 1859, anno di pubblicazione de L’origine delle specie. Con questo saggio, il britannico Charles Darwin sviluppò la famosa dottrina dell’evoluzione, una teoria della sopravvivenza del più adatto, che è la perfetta giustificazione del principio oligarchico che prevede il triage sociale, tanto caro al liberalismo e al maltusianesimo inglesi. Prima di lui, era stato il francese Gobineau ad aver dato alle stampe Il saggio sull’ineguaglianza delle razze umane.

Così, a partire dalla fine del XIX secolo, si andò sviluppando una moda presso i circoli più distinti e gli intellettuali francesi (e non solo): identificare delle “razze” in base ai loro tratti morfologici. Ecco che vediamo apparire l’antropologo di sinistra Vacher de Lapouge, che misura i crani per giustificare le tesi del suo libro L’ariano, il suo ruolo sociale, fornendo così gli argomenti al futuro nazismo:

“Non esistono diritti dell’uomo superiori ai diritti dell’armadillo […] o del bue che si mangia. Vi sono soltanto delle forze. Sia pura la fraternità, ma disgrazia sul vinto! La vita si mantiene soltanto grazie alla morte. Per vivere occorre mangiare, uccidere per mangiare”.

Qual è il punto comune di tutte queste dottrine che forniscono il terreno perfetto per l’antisemitismo e lo spirito vendicativo anti-tedesco che si svilupparono in Francia? Una visione finta e materiale dell’uomo, caratterizzata unicamente dal suo corpo, dalla materia organica che lo compone, dal suo rapporto fisico con il mondo, un mondo che pure è divenuto arbitrario. La negazione dell’intelletto umano, dunque, della sua capacità di cambiare, di scoprire, di creare, di trascendere sé stesso.

Tutto ciò è reso ancor più pesante dal dominio culturale del positivismo, la dottrina di Auguste Comte che scorpora la storia in epoche predeterminate, negando difatti il ruolo della volontà umana e delle idee: due epoche ingenue, l’epoca tecnologica del Medio Evo e l’epoca metafisica del Rinascimento, infine l’epoca razionale moderna: l’epoca positivista, nella quale regna la cosiddetta scienza ereditata dall’illuminismo.

Questa scienza oggettiva avrebbe capito, seguendo Newton e Cartesio, che il mondo è assolutamente sottomesso alla materia, è privo di senso, manca di un qualunque Dio, non è un’unità ed è caotico, è inconoscibile se non per approssimazione e fondandosi sulla constatazione dei fatti accumulati grazie alla sola percezione dei nostri sensi. In breve, poiché le idee non esistono e non si può pertanto accedere alle cause della cose, si è incapaci di qualunque scoperta (nemmeno della gravitazione universale, per sua natura invisibile ai sensi!) e il mondo non si può cambiare.

I partiti operai e i circoli politici intorno a Jaurès ne pagheranno pesantemente le conseguenze. Un colmo per dei partiti di sinistra rivoluzionari! Per Jules Ferry, per esempio, lodato (oggi ancor di più) per la sua difesa della scuola laica:

“Non ci si ribella contro ciò che è; non si sostituisce, nella pratica sociale, ciò che potrebbe essere a ciò che è. La concentrazione dei capitali è un fatto certo […]; non ci si batte contro questa tendenza generale, che opera alla maniera di una forza meccanica, una lotta impossibile e derisoria”. [La filosofia positiva, 1867]

Stessa cosa per i marxisti, poiché essi difendevano una concezione materialista della storia e, di questa storia, una logica propria, condannando di fatto l’individuo e il proletario a non essere altro che soggetti a forze e travolti da lotte di classe che li superano.

In queste condizioni il progresso viene considerato impossibile e rifiutato. Al punto che nel 1911 gli accoliti di Maurras, nell’estrema destra, e di Georges Sorel, di parte marxista, diranno in Francia:

“Per salvare la civiltà, la prima bestia da abbattere è la fiducia nel progresso, in questo ottimismo […] che hanno generato la sinistra farsa della Rivoluzione francese del 1789”.

Difficile, in queste condizioni, intravedere un tema diverso dalla lotta per lo spazio vitale di tutti contro tutti! Questo deve farci riflettere, quando pensiamo ai miti politicamente corretti del presente, che negano la creazione di nuova risorse attraverso la promozione della decrescita e delle energie verdi…

Fu dunque nel nome del progresso, e per restituire al mondo e all’uomo i loro diritti all’infinito, la loro capacità di creare e di generare delle idee per permettere l’avvenire, che Jaurès condusse la sua battaglia politica e filosofica contro i prodromi del fascismo. Sostenne una tesi di filosofia dal titolo “Della realtà del mondo sensibile”, sotto la direzione di un leibniziano, per denunciare due estremi di pensiero: il positivismo e il materialismo da una parte e l’idealismo puro e il formalismo dall’altra parte. Questi ultimi, poiché condannavano il reale e essere soltanto una vana illusione o una semplice “secchezza di una costruzione logica”, e pertanto parimenti pericolosi. Il suo obiettivo era di mostrare, del progresso il carattere non ideologico ma scientifico, come parte intrinseca della natura e della natura umana. Provò che v’è un’interazione permanente tra il vivente e il pensante, tra le idee e le cose, permettendo una creazione costante delle forme d’esistenza sempre superiori.

Con le sua parole:

“Per tutti i viventi, a qualunque periodo dell’universo essi appartengano, il problema dell’infinito si pone interamente”.

“La somma dei movimenti che sono nel mondo è un infinito agente ove la matematica non ha parola. Non occorre considerare l’universo, con i suoi movimenti e le sue energie, come un fondo inesauribile […] Qui, non sono le risorse che misurano i consumi, ma, piuttosto, l’infinità stessa dell’opera da compiere che suscita l’infinità corrispondente delle risorse”.

Questo non piacerebbe di sicuro ai garanti dell’austerità finanziaria che la fanno da padroni, oggi, a Washington e a Bruxelles!

Ciò è perfettamente coerente con la sua battaglia politica e parlamentare, secondo la quale:

“Ogni individuo ha il diritto all’intera crescita. Ha dunque il diritto d’esigere dall’umanità tutto ciò che possa assecondare il suo sforzo!” [Il socialismo e la vita, 1901]

Jaurès difese, infatti, le idee del credito nazionale e della banca pubblica d’emissione di moneta al servizio dei bisogni produttivi futuri della nazione, dal capitalismo e dall’usura finanziaria. Queste idee furono poste in atto, ma soltanto durante i cosiddetti “Trenta gloriosi” anni dopo la Seconda Guerra Mondiale.

Vorrei che ci soffermassimo su un passaggio della sua tesi, molto polemico dal punto di vista filosofico, ma fondamentale. Si tratta dell’inizio del terzo capitolo. Dopo aver esaminato la realtà, strato dopo strato, passando dalla molecole agli atomi, fino all’infinitamente piccolo della materia, concluse:

“La scienza stessa, cercando il sostegno del movimento materiale e l’elemento ultimo della materia, ci ha condotti fino a una realtà che nulla più ha di materiale, che non è più percepibile tramite i sensi, che non esiste più se non nel pensiero”.

E, paragonando la sua esplorazione a quella di Virgilio e di Dante, giunti a riveder le stelle grazie un cammino ben diverso a partire dalle profondità infernali, Jaurès aggiunse:

“Guidati dalla scienza, noi siamo scesi sempre più, sempre più in basso nelle profondità della materia; da quegli abissi spaventosi in cui potemmo chiederci se tutto non fosse in procinto di dissolversi in cieca fatalità, abbiamo trovato delle sovrapposizioni di movimenti, dei cerchi e dei vortici: e all’apertura opposta di questi abissi, anche noi abbiamo rivisto le stelle”.

Permettetemi ora una piccola divagazione sul grande fisico Max Planck, al quale dobbiamo la scoperta del quantum. Ecco che cosa dichiarò alla fine della sua vita, negli anni Trenta, mentre la concezione materialista e utilitarista dell’uomo stava raggiungendo l’apice in Germania, con gli orrori che ben conosciamo:

“In quanto fisico che consacra la propria vita intera a una scienza sobria, lo studio della materia, sono sicuramente libero di ogni forma di sospetto che potrebbe fare di me un fanatico. E dunque dico a proposito delle mie ricerche sull’atomo, che non esiste materia in sé. Qualunque materia sorge ed esiste soltanto grazie a una forza che mette in movimento le particelle atomiche e le mantiene unite, come infimi sistemi solari dell’universo. Ma, poiché non esiste né forza intelligente, ne forza esterna nell’insieme dell’universo, noi dobbiamo postulare una scienza cosciente, un intelletto intelligente dietro tale forza. Lo spirito è la base della materia”.

Infatti, se riflettiamo bene, v’è un paradosso che ci circonda permanentemente, e Jaurès non mancò di sottolinearlo durante un dibattito contro il genero di Marx, Paul Lafargues, dibattito conosciuto con il nome di “Materialismo e idealismo nella concezione della storia”: Come può il nostro cervello generare delle idee nuove, delle intuizioni scientifiche, se le origini di queste idee non si trovassero che negli ingranaggi meccanici della materia, reazione chimica dopo reazione chimica?

Jaurès proseguì:

“Se pronuncio in questo momento alcune parole, è proprio perché l’idea che esprimo in questo minuti è stata trasportata a lungo da un’idea anteriore e dall’intera successione delle idee anteriori. Ma è anche perché voglio realizzare nel futuro che vedo davanti a me, uno scopo, un’intenzione, un fine; in modo che il mio pensiero presente, nello stesso tempo in cui è determinato dalla successione dei pensieri anteriori, sembra provocato da un’idea del futuro. Ora, accade lo stesso nella storia e nello stesso momento in cui voi potete spiegare tutti i fenomeni storici tramite la pura evoluzione economica, voi potete spiegarli anche tramite il desiderio inquieto, permanente, che l’umanità ha di una forma superiore di esistenza. Prima dell’esperienza della storia, prima della costituzione di un qualunque sistema economico, l’umanità conserva in sé stessa un’idea precostituita di giustizia e di legge, ed è questo ideale preconcepito che essa persegue passando da una forma di civiltà a una forma superiore di civiltà”.

Le idee non sono convenzioni sociali, né pure invenzioni del cervello o della società umana. Esse non sono nemmeno entità distaccate del mondo reale. Esse sono “naturali” nel senso che l’universo, per i propri bisogni, per continuare la sua opera di creazione del mondo, le genera con la mediazione dell’intelletto umano.

Ora, qual è dunque quest’idea all’origine dei BRICS e della Nuova Via della Seta? Quest’idea è il progresso, il progresso che varca le frontiere di quanto è conosciuto. E come sarà garantito? Tramite la creazione e la scoperta umana mutualmente assicurate. L’universo ha bisogno del pensiero per continuare il proprio lavoro creativo.

Noi abbiamo assolutamente bisogno di far rendere vittoriosa la battaglia di Jaurès, altrimenti l’umanità si annienterà e annienterà il mondo ancora una volta.

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