Gli avvenimenti delle ultime due settimane in Venezuela si sono succeduti con grande rapidità: l’improvviso emergere dell’auto-proclamato presidente ad interim Juan Guaidó, il suo riconoscimento da parte di Stati Uniti, Canada e molti governi occidentali e latino-americani, e la richiesta che il “dittatore” Nicolás Maduro (nella foto con Dilma Roussef, allora presidente del Brasile, anche lei destituita con un’operazione diretta dall’estero) si dimetta, “altrimenti vedrete”. Negli ultimi giorni si sono intensificate la pressioni, in quanto il “candidato manciuriano” Guaidó, relativamente sconosciuto, ha provocatoriamente annunciato un piano per ristabilire i “corridoi umanitari” in Venezuela, usando la stessa strategia del “diritto di proteggere” (R2P) usata dai “globalisti” per violare la sovranità territoriale di Libia, Siria e molte altre nazioni.

I neoconservatori all’interno dell’Amministrazione di Trump ipotizzano una possibile opzione militare, e il Tesoro ha imposto sanzioni sull’impresa petrolifera statale PDVSA nel tentativo di schiacciare economicamente il Paese. Niente di tutto questo sarebbe accaduto senza l’operazione giacobina creata e diretta da Londra negli anni Novanta, prima con Hugo Chávez e poi col suo successore Nicolás Maduro – un’operazione documentata dall’EIR. Lo “chavismo” ha dato vita a un’alleanza strategica con il cartello della cocaina del FARC (diretto anche questo da Londra) e ha portato il Venezuela alla rovina economicamente e politicamente, gettando le basi per gli attuali sviluppi: una “rivoluzione colorata” finanziata dal National Endowment for Democracy (NED), dal National Republican Institute, da USAID, dal National Democratic Institute e da svariate ONG vicine al megaspeculatore George Soros.

Si tratta della classica operazione “gang-countergang”, essenziale anche nel tentato golpe contro il Presidente Trump. I falchi all’interno del governo, del Dipartimento di Stato, del National Security Council e tra i leader della comunità degli esuli cubani in Florida, accusano della crisi venezuelana Russia e Cina, le quali, secondo loro, “minerebbero gli interessi di sicurezza nazionale americani” nella regione per i loro legami economici, politici e militari col Venezuela e altre nazioni. L’obiettivo è rendere impossibile nella regione la cooperazione tra Stati Uniti, Russia e Cina con l’Iniziativa Belt and Road.

In Venezuela si esprimono vera rabbia popolare e disperazione per la crisi umanitaria provocata da Chavez e Maduro. Ma, come documentano i giornalisti investigativi Max Blumenthal e Dan Cohen in un articolo del 29 gennaio su Grayzone, coloro che vengono esaltati dai media occidentali come salvatori della democrazia venezuelana, come Juan Guaidó, sono delle frodi (vedi https://consortiumnews.com/2019/01/29/the-making-of-juan-guaido-us-regime-change-laboratory-created-venezuelas-coup-leader/). Si tratta di oligarchi neoliberisti selezionati da istituzioni legate alle reti di Gene Sharp, l’ispiratore delle “rivoluzioni colorate”, per fomentare sollevazioni popolari e poi essere scartati quando non più utili.

Chi è Juan Guaidó?

Essenzialmente, nessuno. Era un leader studentesco reclutato nel 2005 e mandato a Belgrado, in Serbia, al Center for Applied Non-Violence and Strategies (CANVAS), una derivazione dell’OTPOR, che fu strumentale nel rovesciare Slobodan Milosevic. Finanziato dal NED e da USAID, l’OTPOR addestrò membri di quella che in Venezuela divenne la “generazione 2007”, che guidò le proteste violente contro Chavez e poi Maduro.

Il giornalista investigativo venezuelano Diego Sequera sottolinea che Guaidó è più popolare fuori che all’interno del Venezuela, “soprattutto negli ambienti dell’élite dell’Ivy League e di Washington”. Nel 2007 si iscrisse al programma sulla Governance e la Gestione Politica presso l’Università “George Washington” di Washington D.C., dove studiò con l’economista iperliberista e friedmaniano Luis Enrique Berrizbeitia, ex direttore esecutivo del Fondo Monetario Internazionale.

Guaidò contribuì a creare il partito della Volontà Popolare insieme all’ex presidente di un quartiere di Caracas e al suo mentore Leopoldo Lopez, un oligarca addestrato a Princeton. In un’intervista a RT, il giornalista investigativo Max Blumenthal descrive il partito Volontà Popolare come “il partito di destra radicale più violento in Venezuela, che funge da truppe d’assalto dell’oligarchia” e viene odiato da coloro che vogliono evitare la guerra civile.