La proposta di aumentare massicciamente i debiti pubblici per affrontare l’emergenza economica provocata dal Coronavirus, lanciata da Mario Draghi sulle pagine del Financial Times il 26 marzo, ha raccolto consensi scontati dagli ambienti finanziari, ma anche da quelli che fino a ieri erano i suoi critici. La proposta di Draghi, che ha criminalizzato il debito pubblico durante tutti i sette anni del proprio mandato alla BCE, contiene una gigantesca trappola, abbellita da tanta retorica sul bene comune e sul destino di produttori e consumatori.
Il passaggio cruciale dell’articolo di Draghi è questo: “Mentre i diversi paesi europei hanno strutture finanziarie e industriali differenti, l’unico modo efficace per raggiungere immediatamente ogni meandro dell’economia è quello di mobilitare pienamente i loro sistemi finanziari; mercati obbligazionari – per lo più per le grandi imprese – sistemi bancari e in qualche paese persino il sistema postale per tutti gli altri. E dev’essere fatto immediatamente, saltando gli ostacoli burocratici. Le banche, in particolare, sono presenti in tutta l’economia e possono creare denaro all’istante permettendo scoperti di conto o aprendo sportelli creditizi. Le banche devono rapidamente elargire prestiti a costo zero alle imprese disposte a salvare i posti di lavoro. Poiché in questo modo esse diventano strumenti di politica pubblica, il capitale di cui necessitano per eseguire questo compito deve essere fornito dal governo nella forma di garanzie di stato su tutti gli scoperti o prestiti. Nessuna norma o regola sul collaterale deve essere di ostacolo per creare nelle banche tutto il margine di bilancio necessario allo scopo. Inoltre, il costo di queste garanzie non dovrebbe essere calcolato sul rischio di credito dell’impresa che le riceve, ma dovrebbe essere zero, indipendentemente dai costi incorsi dal governo per raccogliere quei fondi sul mercato”.
La proposta di Draghi sarebbe valida se le banche fossero banche, e cioè se svolgessero la classica funzione di raccolta di depositi e di emissione di prestiti a imprese e famiglie. Ma nell’Eurozona e nella regione transatlantica vige il modello della “banca universale” e gli istituti finanziari sono profondamente esposti in ogni forma di speculazione finanziaria. Pompare denaro nel sistema bancario, come è dimostrato dall’esito del QE, significa pompare la bolla speculativa. L’economia reale non ha visto un centesimo di quei soldi e non li vedrà nemmeno con la nuova ricetta di Draghi, a meno che l’ex capo della BCE e ex “Mr. Britannia” non includa la preventiva riforma di separazione bancaria. Quella sarebbe una credibile conversione sulla via di Damasco.
Intervistata dal giornalista Roberto Ortelli, Liliana Gorini, presidente di MoviSol (nella foto), ha messo in guardia dall’idea che Draghi possa diventare il “salvatore della patria” in Italia: “quando era a capo della BCE ha costretto le banche ad acquistare derivati e titoli tossici, la sua idea di denaro a pioggia alle banche dovrebbe quindi insospettire, chi ci garantisce che i crediti andranno a costruire ospedali, respiratori e rilanciare l’economia reale, piuttosto che a rifinanziare la bolla dei derivati? Solo un illuso può proporre Draghi a capo del governo. L’unico modo per generare il credito necessario a superare l’emergenza e rilanciare l’economia e il lavoro è la netta separazione tra banche commerciali e banche speculative, come ha proposto LaRouche, niente più garanzie dello Stato agli speculatori”.