La priorità assoluta nella politica dell’UE sarà “la tutela del clima”, come ha chiarito abbondantemente la nuova presidente della Commissione Europea Ursula von der Leyen nel suo discorso a Strasburgo il 16 luglio.
Facendo eco alla linea dei “fondamentalisti del clima” ha dichiarato che “la nostra sfida più pressante è mantenere sano il nostro pianeta”, obiettivo da conseguire con una drastica riduzione delle emissioni di CO2 (benché venga ripetuta fino alla nausea, va ribadito qui che questa ipotesi non è mai stata provata).
L’obiettivo attuale dell’UE di riduzione del 40% delle emissioni entro il 2030, dal suo punto di vista, “non è sufficiente. Dobbiamo andare oltre”. Entro il 2030 dovranno essere ridotte “del 50%, se non del 55%”. “Voglio che l’Europa diventi il primo continente ‘CO2 neutrale’ al mondo entro il 2050” (che cosa questo implichi per le economie avanzate e industrializzate ha convenientemente evitato di dirlo).

Da lì è partita in quarta: “Nei primi 100 giorni del mio mandato proporrò un Green Deal per l’Europa. Proporrò la prima Legge Europea sul Clima, che stabilirà l’obiettivo del 2050 per legge. Questo aumento delle ambizioni richiederà investimenti su vasta scala. Il denaro pubblico non sarà sufficiente” (un riferimento evidente a favore degli schemi della City di Londra e di altri mercati).

“Proporrò un Piano di Investimenti Sostenibili dell’Unione Europea e trasformerò parte della Banca Europea per gli Investimenti in una Banca del Clima. Questo libererà 1000 miliardi di euro di investimenti nel prossimo decennio. Tutti noi e ogni settore dovranno contribuire”. Questo significa anche i partner commerciali dell’UE…
Come se non bastasse, la nuova presidente della Commissione ha inoltre promesso di “introdurre una tassa sul carbonio alla frontiera per evitare infiltrazioni di carbonio”.

Questo manifesto ambientalista radicale non è frutto della mente di Ursula von der Leyen: la Commissione Europea uscente lavora da mesi alla formulazione di questa agenda, in stretta consultazione con banche, fondi speculativi, ONG e centri studi “verdi” come la European Climate Foundation.

Esso implica nuove disposizioni di legge (Proposta di uno Standard per Obbligazioni Verdi) che costringerebbe (!) tutti gli istituti finanziari, incluse la Banca Centrale Europea, la Banca Europea per gli Investimenti e la Banca Europea per la Ricostruzione e lo Sviluppo, a non concedere prestiti per progetti che non rispettino gli standard di “sostenibilità” più estremi. La scadenza originaria per adottare queste disposizioni, prima delle elezioni europee del 25 maggio, fortunatamente è saltata, ma l’UE è intenzionata a imporle entro la fine di quest’anno.

Questo approccio è diametralmente opposto alla dinamica della Nuova Via della Seta. Infatti, la von der Leyen ha criticato i Paesi che lavorano con l’Iniziativa Belt and Road della Cina, sostenendo che i cinesi “stanno costruendo il proprio influsso globale e creando dipendenze, investendo in porti e strade” e che altri si rivolgono a regimi autoritari. Ma che noi “seguiremo la strada europea”.