di Flavio Tabanelli

La Camera ha approvato un disegno di legge sulla scuola che, nella sua continuità con le passate “riforme”, ha come vere premesse l’austerità e l’abuso di autorità per imporla.

La Camera e il Senato, in verità, non sono chiamati a cambiare la scuola, ma a delegare il governo a decretare, entro diciotto mesi, su almeno dieci questioni fondamentali (vedi art. 22), senza vincoli di sorta.

Sono promessi soldi, ma con la certezza che i tagli siano superiori. Complessivamente, gli aumenti per merito (secondo il pamphlet del settembre 2014 concessi al massimo a un 66% a priori dei docenti di ogni scuola) sarebbero infatti inferiori agli scatti di anzianità che si vogliono abolire, superando il contratto collettivo nazionale. Degli assistenti tecnici, del personale amministrativo e ausiliario nulla si dice.

Si favoleggia di “più laboratorio”, ma si incensa la simulazione al calcolatore. Si asserisce la volontà di valorizzare (con una pacca sulla spalla?) gli “innovatori silenziosi” come Montessori, Don Milani, Don Bosco e Malaguzzi, pedagoghi mossi da una propria volontà, per proporre un obbligo di formazione nel pieno di una grande confusione sui contenuti del processo educativo (vedi ad esempio la questione delle cosiddette dislessia, disgrafia, ecc.)

La vergognosa situazione palesatasi con la sentenza della Corte europea di Giustizia, interpellata sul precariato di decine di migliaia di maestri e docenti, è stata trasformata in un’occasione per ricattare. Anziché come un provvedimento dovuto, le assunzioni tanto sbandierate (i cui numeri, tra l’altro, stanno calando col passare del tempo, e sono sempre stati inferiori al necessario, anche senza contare i bisogni precedenti la “riforma Gelmini”) sono presentate come una concessione del governo vincolata all’accettazione di una serie di misure, che in alcuni casi arrivano a stridere con la Costituzione, e mancano di originalità se confrontati con le norme fasciste, tra le quali:

  • riduzione complessiva degli stipendi;
  • potenziamento incostituzionale dei poteri discrezionali dei dirigenti sui docenti e sull’orientamento didattico (con profonda lesione della libertà di insegnamento);
  • introduzione di una “tessera del pane” per le spese culturali dei docenti, che avrebbe un costo complessivo pari a uno degli scatti di anzianità negati;
  • forme occulte di finanziamento pubblico delle scuole private (l’art. 17 è l’unico ad esser stato abrogato dalla Camera);
  • sostituzione dell’assunzione per concorso (prevista dalla Costituzione repubblicana) con l’assunzione per chiamata diretta dei dirigenti (un tempo prevista dal regime fascista, vedi il regio decreto 1054/1923, art. 27);
  • precarizzazione dei titolari di cattedra richiedenti trasferimento;

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Improvvisamente vanno bene i difetti, gli strappi, i tagli di personale e delle ore di lezione delle precedenti “riforme” (dei ministri Berlinguer, Moratti e Gelmini) tanto deprecati anche dalla forza politica ora al governo. Si riparte da lì, senza discutere, senza pensare di ripristinare quanto tolto. Anche qui vale il “ce lo chiede l’Europa”. Non potendo servire due padroni, Renzi prosegue l’opera di trasformazione della scuola in azienda mendicante fondi, condendo la proposta con mentalismi vari, fatti per catturare il consenso su qualche dettaglio.

Non solo. Nonostante l’alta partecipazione allo sciopero del 5 maggio scorso, il suo governo tenta di isolare i sindacati. Infine, Renzi produce una lettera e un cortometraggio (una lezione con lavagna) per vendere un prodotto differente da quello proposto ai parlamentari.

La lezione è di un governo senza politica industriale che addossa alla scuola la responsabilità della disoccupazione giovanile. Un rovesciamento che supera le tesi ideologiche della Tavola Rotonda degli Industriali Europei (ERTI), della Fondazione Agnelli, di Confindustria, ecc., nei cui documenti la scuola dovrebbe seguire il lavoro.

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“Disintegrazione controllata della scuola”

Questo ddl 2994 viene a completamento di un’operazione ventennale di aggressione, che ha già corrotto il mondo della scuola. Il processo si comprende meglio se situato nel generale programma di “disintegrazione controllata dell’economia”, iniziato da Paul Volcker, Margaret Thatcher (bis), ecc., personaggi apprezzati dall’oligarchia, che l’oligarchia propaganda come rispettabili e, soprattutto, pieni di “merito”.

Prima di questa offensiva, fatta sì di tagli ma anche di ingerenze in materia di didattica e pedagogia, l’Italia produceva laureati che andavano “a ruba” nel mondo. Poi è iniziata la stagione del “terrorismo”: non in mancanza di soldi, ma in ossequio a questo progetto di disintegrazione, è stata inventata la “autonomia”, proprio come nello scarica barile del decentramento verso le Regioni. Si è così aperta la forbice tra il finanziamento delle istituzioni scolastiche e le ipocrite richieste di attenzione ai processi educativi.

Nella pratica, però, si è dato a intendere ai docenti che troppe insufficienze li avrebbero bollati come incapaci, che le scuole migliori sarebbero state quelle con pochi bocciati. Il tutto fu condito con la pretesa di oggettività in un processo di valutazione che è fondato su una relazione umana e ha pertanto molto della soggettività del processo cognitivo: quindi, via con i test a crocette, la cui origine – pochi ancora lo sanno – è nelle procedure di selezione in sede di reclutamento nell’esercito, prima che nei test psicoattitudinali, e che certamente non stimolano il ragionamento e il senso critico, oltreché negare il senso profondo della ricerca col proporre risposte prestabilite.

Art. 33 della Costituzione
L’arte e la scienza sono libere e libero ne è l’insegnamento…

Ora, dopo anni di stravolgimenti, di mancanza di continuità didattica e di coerenza nel processo educativo, ma anche di (per ora) volontaria subordinazione alle logiche contabili della libertà di insegnamento e dell’onestà, è gioco facile far leva sulle cose che non vanno nella scuola, comprese la scarsa dedizione o le scarse competenze di un imprecisato numero di insegnanti.

Non nascondiamocelo, vi sono insegnanti che non sanno fare il proprio mestiere. Direste il contrario dei professori di inglese di Matteo Renzi?

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Eppure il nostro Presidente del Consiglio fu diplomato con 60/60…

La questione della qualità dell’insegnamento è un tema imprescindibile. I docenti, in generale, non temono di essere valutati, ma temono che la valutazione sia fatta a colpi di quiz o in modo arbitrario, per esempio sulla base della “soddisfazione del cliente”. Vorrebbero invece che del merito, proprio e dei propri studenti, fosse data una definizione condivisa, prima di passare alla sua misura.

In altre parole, chi è responsabile della grafia di Renzi? E dello “shish”, è colpa sua o dei suoi insegnanti della lingua di Shakespeare?

Purtroppo che cosa sia il merito è lasciato ai futuri decreti.

Finanziamento e cultura

Il problema fondamentale della protesta è, per noi, nella timidezza delle proposte alternative.
La cosa è assai paradossale, poiché i due nodi di questa battaglia, la questione dei finanziamenti alla cultura e la questione dei contenuti di tale cultura, sono proprio i nodi con cui, in un’Europa medievale la nostra frammentata Italia guidò il Rinascimento dell’umanità e del pensiero. Se avessimo aspettato che altri cominciassero, come sarebbe oggi il mondo?

La timidezza… Per quale ragione, infatti, chi protesta chiede più finanziamenti per la scuola, ma fino a raggiungere la media europea? Perché non esigere, invece, che il nostro governo guidi al rialzo tutta l’Europa, restaurando nel contempo i contenuti e i modi di valutare la preparazione degli studenti? Senza esigere il massimo, saremo costretti ad assistere impotenti ad altra distruzione.

Tutta questa frenesia sulla misura dei risultati nasconde una trappola. Non si discute dei contenuti e degli obiettivi concettuali.

Quale cultura?

Vi sono pratiche che instupidiscono. Si può instupidire anche occupando la mente con contenuti frivoli. Il regime fascista dedicò allo scopo un ministero parallelo, il Minculpop. La mente deviata dagli oggetti della sua curiosità innata, perde occasioni di costruire la propria potenza analitica e cognitiva.

“Siate meno curiosi
delle persone
e più curiosi delle idee”
(Maria Curie)

È forse credibile un Ministero della Pubblica Istruzione che non faccia mai sentire la propria voce sui palinsesti delle televisioni e delle emittenti radiofoniche dello Stato, spesso incoerenti con gli obiettivi educativi della scuola repubblicana? Dalla TV del maestro Alberto Manzi (“Non è mai troppo tardi”) siamo passati a quella dei pettegolezzi e dei quiz, cui deve molto anche il nostro Renzi, evidentemente.

Se Manzi alfabetizzò i pastori ottuagenarii, quanti miracoli potremmo ottenere usandola bene? È chiaro che la questione è nel far predominare una tale volontà.

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“Il Ministero della Pubblica Istruzione e la RAI, Radio Televisione Italiana, presentano ‘Non è mai troppo tardi’…”

Quando Renzi dice che serve più musica e più storia dell’arte, che cosa pensate che intenda?

È credibile un programma di musica che, piegato al relativismo e all’edonismo, associ alla tradizione classica italiana ed europea la “contemporanea”, la controcultura, le urla e le altre manifestazioni psichedeliche, le produzioni con lo stampino e i giri di accordi con l’onnipresente e ossessivo ritmo della batteria?

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Al concerto di musica contemporanea (da
Le vacanze intelligenti, 1978)

Vale la pena ricordare che cosa auspicò Bertrand Russell nella sua opera maltusiana “L’impatto della scienza sulla società” (1952):

Adesso sappiamo che un palcoscenico e una banda musicale riescono a persuadere meglio di quanto possa fare la più elegante sfilza di sillogismi. È prevedibile che col tempo chiunque sarà in grado di persuadere chiunque altro di qualunque cosa a patto di trovare una gioventù paziente e di essere provvisto di denaro e di attrezzature da parte dello Stato.

Questa materia farà grandi passi avanti se se ne incaricheranno gli scienziati sotto una dittatura scientifica. Anassagora sosteneva che la neve è nera, però non gli credeva nessuno. Gli psicologi sociali del futuro disporranno di moltissime classi di scolari sui quali proveranno diversi metodi per produrre un’incrollabile convinzione che la neve è nera. Ben presto si giungerà a diversi risultati. Che l’influenza della famiglia è di ostacolo e, in secondo luogo, che non si potrà far molto a meno che l’indottrinamento abbia inizio prima dei dieci anni d’età. In terzo luogo, che i versi messi in musica e reiteratamente intonati sono efficacissimi. In quarto luogo che l’opinione che le neve è bianca dev’essere presentata come se rivelasse un gusto morboso per l’eccentricità. Ma io sto facendo delle anticipazioni. Spetterà agli scienziati dell’avvenire rendere esatte queste massime e scoprire con precisione quanto costi, pro capite, fare in modo che i bambini credano che la neve è nera e di quanto sarebbe minore la spesa per indurli a credere che è di colore grigio scuro. […]
Questa scienza sarà, sì, studiata con molta diligenza, però rimarrà rigidamente confinata alla classe dirigente. Al popolo non sarà concesso di sapere in che modo vengano generate le sue convinzioni. Una volta che la tecnica sia stata messa a punto, qualsiasi governo che abbia avuto potere sull’istruzione per una generazione sarà in grado di controllare con tutta sicurezza i suoi sudditi senza aver bisogno di eserciti o di poliziotti.
(dalla traduzione di Giorgio Meineri, Newton & Compton ed., 2005)

Sarà questo il vero motivo del suo “Perché non sono cristiano”?

È credibile un programma di storia dell’arte che preveda per la terza superiore la centralità del Rinascimento e per la quinta superiore la fiera dei depressi in cerca di ispirazione, degli psicotici e dei burloni?

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Visita alla Biennale di Venezia (da Le vacanze intelligenti, 1978)



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Il problema si trova anche nelle altre discipline, come la geografia, la filosofia o la storia.

Vogliamo davvero che i nostri giovani finiscano come le reclute americane nelle guerre del Golfo, che ignoravano dove fosse l’Iraq, o come altri americani che credono che l’Ucraina sia uno Stato della loro federazione?

Oppure, perché imbottire gli studenti di filosofie pessimiste e nichiliste, negando loro di conoscere pensatori come Friedrich Schiller, cui peraltro si ispirò, e non a caso, Giuseppe Verdi, per contribuire al Risorgimento?

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Il ritorno al La verdiano (2011)

Oltreché dei contenuti, si dà per conclusa la discussione sui metodi di valutazione e, dunque, di preparazione.

A nostra conoscenza (e quanto ci piacerebbe essere smentiti!) nessun governo degli ultimi anni ha preteso in sede di coordinamento europeo che, in parallelo alla valutazione del nostro sistema scolastico tramite i quiz anglosassoni (PISA, INVALSI), vi fosse la contemporanea valutazione con i metodi adottati qui, non già in questi anni di declino e di accettazione del declino, ma venti, trenta, o quarant’anni anni fa, delle scuole e degli studenti anglosassoni o comunque delle nazioni in cui da tempi immemori vigono quei sistemi di valutazione e “preparazione”. Ne avremmo viste delle belle!

Alzando lo sguardo, dal nostro punto di vista questa “buonizzazione” della scuola condivide con le passate “riforme” e i tanti ritocchi contabili associati una omissione fondamentale, quella della preoccupazione per lo sviluppo della genialità.

Non è dal punto di vista delle “conoscenze minime”, né delle “abilità adeguate per l’occupabilità [sic]”, ma da quello della creatività affermata nel Rinascimento, dai cui attori ereditammo il progetto di una scuola pubblica aperta al popolo analfabeta, ch’è tempo di vagliare qualunque proposta organizzativa.

[Traccia audio: “Le basi della creatività e le strategie oligarchiche per distruggerla. Il caso esemplare di Aldous Huxley”,
di Flavio Tabanelli, 13/11/2006]

Correggiamo il tiro, alla luce del citato passaggio di Russell, o di progetti come il Mondo Nuovo di Aldous Huxley: più che di omissione, si può parlare di diretto attacco ai metodi rinascimentali.

Da decenni ormai, con la scusa dell’obbligo scolastico dall’alto provengono richieste di livellamento verso il basso. Per la ministro Gelmini, quella del tunnel dal Gran Sasso al CERN di Ginevra, è accettabile che alla fine della seconda superiore si conoscano solo le equazioni di primo grado, quando negli anni Cinquanta del secolo scorso si arrivava a studiarle anche alla fine della quinta elementare.

Vedi “Lucio Russo: basta con la scuola per consumatori” e alcune sue lezioni di storia della scienza antica.

Famosa è l’ironica presentazione degli effetti dell’introduzione dell’insiemistica nell’insegnamento della matematica, nel pamphlet “Segmenti e bastoncini” di Lucio Russo, il quale anche di recente non ha risparmiato parole dure sul declino in atto, forte delle sue ricerche storiche sulle !@#$%^&* patite dalle civiltà che bandirono la scienza.

Questo attacco è presentato sotto mentite spoglie. “È un problema di fondi, di soldi”, si dice.

Mentre la retorica senza finanziamenti chiede didattica personalizzata, un articolo de Il Corriere della Sera del 14 novembre 2013 (vedi “Conservatori, 6mila docenti con otto studenti l’uno”) poneva come un problema che i conservatorî italiani avessero una media di 8 studenti per insegnante (contro le medie universitarie italiana ed europea rispettivamente di 20 e 13 studenti per insegnante). Ma è proprio per la serietà della musica classica che nell’istituzione del conservatorio musicale ogni cattedra non può avere più di dieci alunni e le lezioni sono sempre riservate a un allievo alla volta (mentre gli altri possono assistere in attesa del proprio turno). È al metodo e alle proporzioni del conservatorio che dovremmo ispirarci per la riforma delle altre istituzioni scolastiche, non il contrario.

Negli anni Sessanta del secolo scorso il Comune di Bologna arrivò ad avere sessanta sezioni montessoriane. Oggi ha una sola scuola materna in cui gli arredi e i materiali di sviluppo permettano una vera didattica personalizzata.

Che coraggio ci vuole a presentare tutto questo come un frutto del progresso?

Qualche riferimento e nuove frontiere

A Italia unita, Alessandro Rossi, in polemica con la scuola capace solo di sfornare avvocati, ingaggiò la battaglia per fondare gli istituti tecnici e la vinse. Carlo Cattaneo, d’altra parte, aveva già lavorato per un fecondo sodalizio di scienza e tecnica. Il suo successore Francesco Brioschi, fondatore del Politecnico di Milano, fu in stretto contatto con la potente scuola matematica di Riemann e si occupò della riforma dei contenuti, arrivando a dispensare consigli inascoltati come quello di far studiare il tedesco come seconda lingua, poiché propedeutica all’inglese.

Gentile, d’altra parte, elaborò un buon curriculum di studi classici, ma lo riservò ai ricchi. Vi sono innumerevoli testimonianze che dicono che i diplomati del liceo classico si affermano, anche all’estero, come “eccellenze”, proprio grazie all’istruzione umanistica, che insegna a ragionare. Non solo: Dante anticipò alcune caratteristiche della fisica del sistema solare. Einstein disse che l’ispirazione per le scoperte scientifiche gli veniva dalla musica classica. Perché, quindi, riservare a pochi una cultura che dà frutti a beneficio di tutti? Perché, d’altra parte, suggerisce Lucio Russo, in latino e in greco non inseriamo lo studio dei testi scientifici antichi?

Friedrich Schiller e i fratelli von Humboldt posero l’attenzione sull’educazione estetica e sull’unità delle scienze naturali e delle scienze dello spirito (Geistes und Naturwissenschaften), quali fondamenti della personalità del cittadino.

Questi sono riferimenti in un certo senso scontati. Sono nei libri di storia, che pure devono essere sfogliati da qualcuno.

Ci sono, però, altre frontiere da esplorare. Come si può recuperare, nella scuola di massa, i processi che ci diedero un Bach o un Leonardo da Vinci, il quale dimostrò con la propria vita l’unità delle “due culture”, che altri hanno artificialmente separate?

Che cosa ancora non conosciamo a sufficienza della mente? Quanto refrattari sono l’università e il ministero alle proposte educative di Maria Montessori o di Glenn Doman? Oppure, che cosa fece di universale la mente fanciulla di Daniel Tammet, il “ragazzo con il cervello incredibile”, dimostrando l’esistenza di funzioni e processi cerebrali su cui nessun educatore ha mai sospettato di poter contare?

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“Il ragazzo con il cervello incredibile”

Per ripristinare le buone tradizioni e, al contempo, esplorare le nuove frontiere, abbiamo bisogno, sì, di pionieri, ma anche di un’adeguata politica di finanziamenti. Altrimenti i pionieri nascono, lottano per gettare le buone sementi, ma passano nell’indifferenza di quei servitori della Repubblica che sono i Ministri.

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La battaglia per la scuola è battaglia per l’economia reale

La battaglia per la scuola è di vitale importanza. Proprio per questo è necessario rovesciare i termini generalmente percepiti: non possiamo permetterci di soccombere, come all’epoca dei nazifascismi, all’uso politico dell’urgenza e della crisi stessa.

Occorre invece assumere i provvedimenti che si assumerebbero senza badare a spese, in una qualunque stagione di crescita economica. Proprio come facemmo dopo la guerra, oppure quando a fine Ottocento si costruirono scuole nelle frazioni di campagna.

C’è un altro elemento di corruzione contro cui combattere. Se c’è un generale accordo sulla opportunità di maggiori investimenti nella scuola, troppe vittime di una visione contabile della finanza pubblica si arrendono davanti alla parvenza della loro impossibilità finanziaria.

Restaurata la funzione del circolo del credito pubblico e della tassazione, e dell’emissione di moneta finalizzata alla produzione (in queste settimane Draghi ne stampa a valanghe, ma per tenere in piedi la bolla speculativa), la questione sarà agevolmente dimostrata: il problema vero è nella tutela del credito dalla speculazione finanziaria e della sovranità sulle politiche economiche nazionali.

Già nel maggio 2012 (vedi “Nessun sacrificio! Separare le banche e salvare la scuola”) anteponemmo al problema della scuola in sé, quello della centralità in economia dei criteri della Legge Glass-Steagall, e della conseguente tutela della sovranità popolare sul credito produttivo.

Già alla Camera e al Senato sono state presentate da quasi tutti gli schieramenti delle proposte di legge per la separazione bancaria (vedi), e un’altra – “pronta per l’uso” – proviene dalla Regione Toscana (vedi). Perché aspettare nel rispondere in modo strategico alla prepotenza di questo ducetto?

Se liberiamo le risorse necessarie per rilanciare l’economia nazionale e, quindi, la scuola italiana, possiamo riorganizzarla e potenziarla. Basta ripartire da certi esempi, come fece Franklin Delano Roosevelt, inserendo nel suo New Deal opportuni programmi di educazione popolare.

Solo con un impeto di entusiasmo possiamo pensare di incidere in modo epocale e ispirare i senatori al gesto di coraggio che si è reso necessario, ma che deve essere un punto di partenza per un Nuovo Rinascimento.

PDF: Lettera aperta al Precario della Scuola e dell’Università, 10 settembre 2010