Michael Greenberg, ex direttore del settore Trading e Mercati della Commodities Futures and Trading Commission (CFTC), ha lanciato l’allarme sulla bolla dei credit default swap (CDS), le cosiddette coperture del rischio di insolvenza, che svolsero un ruolo centrale nel trasmettere il contagio dopo lo scoppio della bolla dei subprime nel 2007-2008. Il volume dei CDS è di oltre diecimila miliardi di dollari, ancora lontano dagli oltre sessantamila miliardi del 2007, ma già preoccupante nella prospettiva di una catena di insolvenze del debito delle imprese o di altre categorie private.

La riforma di Obama, ovvero la legge Dodd-Frank, introdusse formalmente dei requisiti di capitale da rispettare per operare con i CDS, ma offrendo una scappatoia alle banche americane tramite le loro affiliate estere. Basta che queste mettano la spunta a un quadratino relativo all’opzione del contratto che presenta l’accordo come “de-garantito” dalla banca madre.

Così quattro banche americane (Citigroup, Bank of America, JP Morgan Chase e Goldman Sachs) si sono ritrovate a gestire il 90% del commercio mondiale dei CDS. Le autorità di controllo hanno visto crescere la bolla ma non hanno fatto niente. La parola deve ora passare ai tribunali, sollecita Greenberg.

Il pasticciaccio spezza una lancia a favore dell’abrogazione della Dodd-Frank, anche se molti la vorrebbero semplicemente per eliminare ogni regola o restrizione. Ma v’è anche chi, in ambedue i partiti nel Congresso, vuole abolire la Dodd-Frank per tornare alla Glass-Steagall, e cioè alla separazione bancaria, osserva Greenberg, “in un formato che costringerebbe le banche con depositi garantiti dallo Stato a cessare o ridurre sostanzialmente il commercio degli swap”.