La guerra di aggressione contro lo Yemen è finita sui titoli dei media a livello internazionale la scorsa settimana dopo il bombardamento saudita di un funerale nella capitale Sana’a (nella foto), che ha provocato centinaia di morti e feriti. Prima di tutto, l’espressione “aggressione saudita allo Yemen” è fuorviante, in quanto l’assalto è guidato da Stati Uniti, Gran Bretagna e Arabia Saudita insieme ai loro alleati nel Golfo, come gli Emirati Arabi Uniti e il Qatar. Le armi, l’intelligence ed il sostegno logistico vengono forniti in primo luogo da Washington e Londra.

Il fatto che l’uso della forza sia stato autorizzato dalla Risoluzione 2216 del Consiglio di Sicurezza dell’ONU (del 14 aprile 2015) non legittima la guerra, ma semmai condanna l’ONU per aver consentito simili atrocità. La risoluzione fu adottata dopo che la coalizione anglo-americana-saudita aveva lanciato una campagna di bombardamenti (“Decisive Storm”) e l’invasione del sud dello Yemen il 25 marzo 2015.

Oggi, 19 mesi dopo l’inizio di questa orrenda guerra, il fronte interno yemenita è ancora solido, e non ci sono segni che i sauditi e i loro alleati riusciranno a guadagnare terreno, eccetto in alcune aree vicino ad Aden. Sta di fatto che i cosiddetti ribelli Houthi e le forze dell'”ex dittatore Saleh”, che in realtà sono l’esercito nazionale, sono stati capaci di attaccare con efficacia le forze in territorio saudita e nelle acque yemenite del Mar Rosso.

Ma ciò che questa aggressione è riuscita a ottenere è la quasi totale distruzione di tutte le infrastrutture moderne, sanitarie, della produzione e distribuzione di cibo e degli antichi monumenti, e l’imposizione di un blocco aereo e navale contro 30 milioni di yemeniti. Si tratta di una catastrofe umanitaria peggiore di quella siriana ma molto meno pubblicizzata.

Nonostante la sua estrema povertà, lo Yemen è una nazione araba storicamente, culturalmente e geograficamente chiave. Può controllare il passaggio del commercio globale dall’Asia all’Europa tramite lo stretto di Bab El-Mandab. Potenzialmente è anche un ponte terrestre tra Asia ed Africa; non è una coincidenza che la Cina stia costruendo la sua prima base navale all’estero a Gibuti, per proteggere la Via della Seta Marittima che va dall’Asia orientale al Mediterraneo passando per Bab El-Mandab.

È un’ironia della storia che, come il conflitto in Siria, solo la minaccia che anche questo conflitto apparentemente regionale possa trasformarsi in un conflitto globale potrebbe costringere tutte le parti e le potenze coinvolte a ricorrere a mezzi diplomatici per porre fine a guerre genocide, impedendo che conducano alla terza guerra mondiale.