Il conflitto in Siria, dati i complicati sistemi di alleanze sviluppatisi negli ultimi cinque anni, potrebbe trasformarsi da un giorno all’altro in una conflagrazione tra le grandi potenze, se si permette a Riad e Ankara di perseguire il “great game” britannico nella regione.

I gruppi di opposizione salafita controllati dai sauditi, compresi veri e propri elementi terroristici, si sono presentati all’apertura dei colloqui di Ginevra, ma invece di esprimere una posizione di negoziato, hanno avanzato una serie di richieste incondizionate che erano inaccettabili per il governo siriano. I colloqui sono finiti prima di cominciare.

Mentre il segretario di Stato USA John Kerry ha pubblicamente attribuito la colpa del fallimento a Russia, Siria e Iran, in colloqui privati ha detto l’opposto, secondo il Middle East Eye, dando la colpa ai gruppi di opposizione che prendono ordini da Riad e Ankara.

Kerry ha anche detto ad alcuni partecipanti ai margini dei colloqui di attendersi che le forze ribelli saranno “decimate” nei prossimi tre mesi, dato che le forze russo-siriane stanno facendo guadagnando molto terreno nella zona di Aleppo e hanno efficacemente chiuso il confine turco-siriano, tagliando i rifornimenti di armi e combattenti all’ISIS, ad al-Nuṣra e a un numero di gruppo ribelli salafisti appoggiati dai sauditi. Lo Joint Special Operations Command americano ha dispiegato combattenti esperti tra le unità curde, e i militari USA e russi sono stati impegnati in colloqui di “deconflicting”, per assicurare che i raid aerei russi nella zona di Aleppo non minaccino gli americani che combattono con le milizie curde.

Gli atteggiamenti sauditi e turchi delle ultime ore vanno visti quindi come atti disperati da parte di chi è di fronte ad un risultato bellico difficilmente ribaltabile. Alla conferenza dei “donatori” a Londra, Riad ha annunciato di essere pronta a mandare truppe in Siria, come parte di una coalizione a guida USA. La Turchia, oltre a denunciare un probabilmente inesistente sconfinamento aereo russo, ha anche minacciato di invadere la Siria settentrionale, non per combattere contro lo Stato Islamico, ma per sfidare le forze armate siriane e le milizie curde, che la Turchia equipara al PKK.