Tra le molte crisi che attualmente investono il mondo transatlantico v’è l’imminente collasso del sistema finanziario, di cui si moltiplicano i segni premonitori. Un nuovo indicatore è contenuto nel rapporto semestrale del Global Capital Index dell’ente federale USA di garanzia dei depositi, la FDIC. Il rapporto passa in rassegna i coefficienti di capitale delle cosiddette banche sistemiche, calcolati sulla base dell’esposizione totale, e non dei soli asset ponderati per il rischio, come fa la BCE. Si tratta del cosiddetto leverage ratio, o leva finanziaria.


Il coefficiente di Deutsche Bank – appena il 2,68% – ne fa una delle banche più a rischio nel mondo, con una leva finanziaria di 37:1. La leva di Lehman Brothers nel 2008 era inferiore. Ma la DB non è sola. Secondo le cifre della FDIC, Banco Santander, BNP Paribas, Société Générale, Nordea Bank, UBS e Unicredit sono tutte al di sotto del 4%, e cioè con una leva finanziaria di oltre 25:1. Goldman Sachs è un soffio al di sopra, col 4,14%.


Il Vicepresidente della FDIC, Thomas Hoenig, ha evidenziato, nel presentare il rapporto semestrale, che “la leva finanziaria nel sistema globale è aumentata nella prima metà del 2016”. “Benché il capitale azionario delle banche sistemiche sia aumentato nel primo semestre 2016, gli asset sono aumentati più che in proporzione, compresa una significativa espansione del portafoglio derivati. L’effetto netto è un aumento della leva globale”.


Nel frattempo, benché le megabanche abbiano multe per un ammontare complessivo di duecento miliardi di dollari comminate dal Ministero della Giustizia USA negli ultimi anni, si tratta di piccole cifre se paragonate ai profitti realizzati (e girati agli azionisti). Per non parlare del fatto che nessun amministratore è stato perseguito penalmente, ma hanno tutti continuato a percepire ingenti premi.


Questo è emerso chiaramente la scorsa settimana durante un’udienza del Senato su Wells Fargo, la seconda banca più grande degli USA, dove, come ora sappiamo, i banchieri hanno aperto conti di deposito e carte di credito segreti e non autorizzati per i clienti per almeno cinque anni. La difesa dell’AD John Stumpf , che sostiene di non essere stato al corrente, non è credibile, come ha rimarcato la senatrice Elizabeth Warren chiedendone l’incriminazione.


La ragione suggerisce che le banche “too big to fail” non dovrebbero esistere. Eppure, i governi in Europa e negli USA non hanno compiuto alcun passo per ridimensionarle o separare l’attività di deposito e credito da quella speculativa, come fu fatto negli Stati Uniti con il Glass-Steagall Act del 1933. Thomas Hoenig è un forte sostenitore del ripristino della legge Glass-Stegall.