Inchiostro risparmiato. La Marcia della Pace Perugia-Assisi non è finita sulle prime pagine dei quotidiani. Se non fosse che la linea cui i media sono chiamati è quella della belligerante geopolitica britannica, potremmo ritenere il silenzio tristemente meritato.

Grande, infatti, è stato il contrasto tra le proposte di MoviSol ispirate all’identificazione della pace nello sviluppo economico universale (“Lo sviluppo è il nuovo nome della pace”, Populorum Progressio) e i rituali slogan e le analisi davvero affrettate e superficiali (come quella sul teatro di guerra siriano) di una comunità pacifista e non violenta che purtroppo conta sempre meno partecipanti.

Grande è stato anche il contrasto tra l’umiltà e il silenzio con cui questi concetti sono stati manifestati, con due cartelli e una maglietta stampata per l’occasione, e il linguaggio, preso in prestito dai concerti rock, della macchina organizzativa.

Con i cartelli, indossati o appesi sull’alto muro della Piazza Inferiore di San Francesco, MoviSol ha mostrato ai manifestanti la proposta di separazione bancaria vòlta a far fallire gli speculatori invece degli Stati, liberandoli dalla morsa dell’azzardo finanziario affinché possano dedicarsi al Bene Comune, e la proposta di ampliare la prospettiva dei BRICS con la collaborazione dell’Occidente, vera alternativa alla geopolitica e alla guerra.

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Sulla maglietta la pace è stata trasformata nell’acrostico “Pane, Acciaio, Cultura ed Energia”, i campi in cui con “banca nazionale e credito pubblico” si dovrà tornare a investire massicciamente: agricoltura, industria, rinascimento culturale e ricerca della fusione nucleare, come modalità principale di produzione di energia per tutti i processi produttivi.

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Premessa

Intervistato il giorno prima da Radio Rai 3 sulle modalità per contrastare la guerra, Flavio Lotti, organizzatore storico e controverso della marcia, ha chiesto come prima cosa una forza di polizia internazionale, stupendo alcuni manifestanti altrettanto storici, consapevoli che – data la situazione internazionale attuale – tale forza sarebbe sotto il controllo delle stesse potenze che stanno conducendo la “guerra mondiale a pezzi”.

Con queste premesse, hanno commentato alcuni soci di MoviSol, che utilità avrà il marciare? Quella di gettare i semi di un nuovo approccio, per ristabilire l’amore per la scienza, espressione dell’imago viva Dei creativa, in unità con la giustizia.

Narrazione

Comincia la marcia e cominciano le chiacchiere per conoscere i compagni a fianco. Si parla del contributo ideale che si intende apportare: la separazione tra banche ordinarie e banche d’affari, la visione hamiltoniana della funzione delle banca nazionale, il rilancio della ricerca sulla fusione nucleare. Si ragiona anche della censura de facto, nel dibattito pubblico e nella cultura pesantemente influenzata dai media, a proposito di questi temi. Ovviamente abbondano i commenti sulle figure politiche del momento.

Si arriva a San Maria degli Angeli, ove numerose associazioni hanno preparato tavoli informativi. Alcuni del gruppo notano il ciglio degli attivisti di Greenpeace alla vista della scritta “ENERGIA – Fusione nucleare” stampata sulla maglietta. Siamo convinti che più forte della semplice contrarietà di principio, giochi lo stupore nel vedere un pacifista che chiede energia del nucleo atomico.

Giunti in Piazza Unità d’Italia si parla al volo con alcuni ragazzi dell’Istituto Tecnico “J. F. Kennedy” di Pordenone, sostenendo che occorra rilanciare l’esplorazione spaziale a livello globale, e li si invita a visitare il nostro sito.

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In Piazza Inferiore di San Francesco ci si spoglia dei manifesti per la separazione bancaria e per la cooperazione con i BRICS e li si fissa in cima al muraglione, per la comodità di lettura dei tanti riuniti ad ascoltare il saluto inviato da Papa Francesco e le parole dei frati francescani.

La marcia riprende verso la Rocca, nel piazzale a Ovest della quale tutti si riuniscono, davanti al palco calcato da organizzatori, sindaci e assessori, i cui interventi sono “scontati e per niente di ispirazione”, e alle “quattro cosette”, al “solito appello per la ‘verità su Regeni’ e sulle sofferenze in Egitto”, e “insomma, [alla] roba da grande magazzino” (citiamo un compagno di marcia), si alternano band giovanili con un repertorio sonoro tratto perlopiù da rocker suicidi, giovani “bravi” (citiamo un organizzatore) le cui buone volontà, probabilmente, non sono state mai incanalate verso le composizioni classiche, un tesoro di ricchezza cognitiva indispensabile per intervenire in questo mondo sconvolto dalla violenza e apparentemente impotente e succube delle dinamiche che formalmente si vogliono contrastare.

Davanti al palco e davanti alle telecamere, è ben in vista il nostro manifesto per la cooperazione con i BRICS. Alcuni giornalisti sembrano interessati, ma non osano avvicinarsi, quasi a violare una precisa linea editoriale favorevole piuttosto agli arcobaleni e ai simboli.

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Verso la fine della manifestazione si avvicinano sindaco e assessore di un comune della provincia di Firenze, con i quali si parla del ruolo della Glass-Steagall al tempo di F. D. Roosevelt e del genere di infrastrutture intercontinentali (non solo di trasporto, ma di sviluppo locale) che dagli anni Novanta proponiamo per il continente eurasiatico e che ora la Cina ha adottato nella propria politica estera (“Nuova Via della Seta”, “One Belt, One Road”).

Scendendo verso la valle, si parla con un pittore nella sua bottega. Da alcuni primi ragionamenti sulle sue tecniche compositive, si passa a parlare dei manifesti sotto braccio e infine l’artista si scopre interessatissimo al programma infrastrutturale, particolarmente per la regione asiatica sudoccidentale.

Ritornati in Piazza Unità d’Italia è la volta di una chiacchierata con una turista del Kentucky, con la quale si parla della Glass-Steagall e del ruolo decisivo del LaRouchePAC, a fianco dei familiari delle vittime dell’11 settembre e di alcuni coraggiosi congressisti, nell’ottenere la pubblicazione delle “ventotto pagine” che rivelano il ruolo dell’Arabia Saudita nel finanziare i dirottatori. La signora ci parla delle nuove – per lei – ipotesi a proposito del crollo delle torri gemelle e garantisce che, tornata in patria, seguirà le nostre attività.

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Conclusione

Nel ritorno a casa si scambiano alcune prime valutazioni. Gli storici attivisti sono preoccupati per l’evidente perdita di mordente da parte del proprio movimento, a fronte di una chiara direzione assunta dagli affari internazionali. Che gli organizzatori, dicono, abbiano ricorso alla retorica del “qualcuno diceva che saremmo stati pochi… facciamogli sentire quanti siamo!” è dimostrazione di una certa stanchezza e disillusione.

La nostra speranza è di riuscire a condividere con loro l’entusiasmo con cui portiamo avanti il nostro programma per il progresso e per l’emancipazione della specie umana (citiamo latamente Lazare Carnot). Il primo passo, speriamo, sarà compiuto verso la fine di ottobre al prossimo incontro di un coordinamento di associazioni, dedicato al tema “pace ed economia”.