Nell’ottica del progressivo collasso finanziario si ha la chiave per la comprensione delle ragioni che spingono alla ‘riforma’ governativa delle banche popolari, fatta in tutta fretta e col ricorso al decreto legge.



 

Partiamo dalla realtà fattuale fotografata dallo studio pubblicato dalla CGIA di Mestre: le Banche popolari sono le uniche ad aver aumentato i prestiti a famiglie e imprese (vedi).



 

Contraddicendo la verità dei fatti, il decreto del Governo intende imporre la trasformazione in società per azioni della Banche popolari quando l’attivo sia superiore a 8 miliardi di euro, con il duplice obiettivo di «rafforzare il settore bancario e adeguarlo allo scenario europeo» e «garantire che la liquidità disponibile si trasformi in credito a famiglie e imprese e favorire la disponibilità di servizi migliori e prezzi più contenuti»  (vedi).



 

L’economista Giulio Sapelli la tocca di fino, sostenendo che quel decreto sia un «colpo di Stato» (vedi);  si aggiungano le perplessità di Marco Onado sul Sole24ore (vedi), l’attivismo social e le interviste di Leonardo Becchetti, presidente del comitato etico di Banca Popolare Etica:  «La riforma delle popolari? Un favore ai big del credito» (vedi).



 

Perché il decreto di Renzi contro le Popolari è un attacco alla democrazia e al mercato. Parla il prof Becchetti (vedi).



 

Jonny Dotti, molto attivo nel mondo della cooperazione, Dotti: «Riforma popolari? Così si asfalta il mutualismo» (vedi).



 

Persino chi ha posizioni liberiste critica la trasformazione delle banche popolari in spa: «Una scelta del genere appartiene più a un’economia pianificata che a una di mercato». (vedi).



 

La critica sottolinea il carattere illiberale di una riforma che d’imperio cancella il pluralismo bancario; in altre parole, la contendibilità e la massimizzazione dello shareholder value l’hanno vinta sulla territorialità e la mutualità.



 

Una banca popolare in cui in assemblea vale il principio di ‘una testa un voto’ non è scalabile da un hedge fund nè da una banca d’affari; in una banca popolare vale il principio della mutualità (è vero che è migliorabile, anzi deve essere rafforzato) per cui non è solo la massimizzazione del valore azionario, ma sono anche le condizioni di credito e di lavoro offerte ai soci.



 

Il principio della mutualità cozza con la razionalità del mercato finanziario. E tra un azionista anonimo e un socio di un territorio che è anche artigiano e correntista e risparmiatore, nella banche popolari prevalgono le ragioni di questi ultimi, in controtendenza.



 

Per cui mal si comprendono le ragioni di un Decreto che spinge dei bocconi prelibati come le banche popolari in bocca di top player del mercato internazionale bancario: il risparmio dei soci e correntisti delle popolari diverrà così preda di big banks che ripeteranno lo schema a noi noto: distrarre i risparmi dagli impeghi produttivi (di nuovo, si rimanda allo studio della Cgia di Mestre, per sottolineare la virtuosità delle popolari rispetto a ogni altra spa bancaria) per indirizzarli nei mercati speculativi alla ricerca di guadagni di carta.



 

A ciò si aggiunga un’ulteriore nota: le scarse performance nell’erogazione dei prestiti bancari sono il frutto anche dei folli criteri di Basilea, secodno cui aziende con bilanci non floridi presentano giudizi di rating al ribasso. Così che le aziende ai margini che meriterebbero condizioni migliori, nella logica di Basilea vengono ulteriormente punite.



 

Storicamente la cooperazione bancaria nasce proprio allo scopo di intervenire nelle aree di difficoltà per coalizzare i piccoli produttori nello spuntare condizioni migliori di credito, ma questo governo sembra voltar le spalle ai piccoli artigiani e alle famiglie.



 

Paradossale.



 

Frattanto, l’Associazione nazionale fra le Banche popolari ha emesso un comunicato nel quale si dice: «L’Associazione Nazionale fra le Banche Popolari, ritiene il recente d.l. del Governo, gravido di conseguenze negative su risparmio nazionale e su credito famiglie piccole medie imprese, per un paese, come il nostro, privo d’investitori di lungo periodo in aziende bancarie e, non ultima, ingiustificato e ingiustificabile. Il modello di banca territoriale non è risultato sostenibile al di fuori della banca cooperativa, vuoi nell’articolazione della banca popolare, vuoi della BCC. Non deve esserci una politica economica finalizzata esclusivamente a trasferire la proprietà di una parte rilevante del sistema bancario italiano alle grandi banche internazionali. Per queste ragioni l’Associazione e le Banche Popolari non lasceranno nulla di intentato»  (vedi).



 

Gli ingredienti per coalizzare un fronte comune politico e sociale come abbiamo dimostrato ci sono.



 

Manca la battaglia politica, manca la comprensione del processo in corso, la fine della Troika e del sistema Euro. Anzi, sembra che il governo Renzi resti abbarbicato al vecchio sistema, quello della City di Londra. Ne è una dimostrazione il fatto che le voci sul decreto siano circolate a Londra 24 ore prima che venisse emanato, provocando commenti tipo “Londra chiama, Matteo risponde”, un’inchiesta della Consob su possibili speculazioni da parte di hedge funds londinesi che avevano la notizia in anteprima, ed un’interrogazione del M5S sul conflitto d’interesse con il ministro Boschi.



 

L’analisi di Lyndon LaRouche sull’esito delle elezioni in Grecia: «una profonda vittoria che potrà condurre ad una svolta in tutta la situazione europea e transatlantica», può configurare l’avvio di una nuova fase politica anche in Italia.