La settimana appena cominciata sarà decisiva per la storia americana e mondiale, con il Congresso degli Stati Uniti che dovrà giudicare la richiesta del Presidente Obama di autorizzare l’uso della forza militare contro la Siria. Mentre al Senato si prospetta una vittoria di misura, la Camera dei Rappresentanti sembra essere a larga maggioranza contraria all’intervento, specialmente perché la risoluzione presentata dalla Casa Bianca concederebbe poteri senza precedenti al Presidente.

Se Obama perdesse il voto e comunque procedesse con un intervento militare, per quanto limitato, è probabile che partirebbe una procedura d’impeachment per violazione della Costituzione.

L’opposizione al Congresso è forte, ma quella nell’opinione pubblica è ancora più forte. Secondo numerosi parlamentari intervistati in questi giorni, su cento chiamate degli elettori ricevute, solo una è favorevole.

È bene ricordare che la spinta di Obama verso la guerra è il risultato di una serie di errori politici e di calcolo iniziati più di due anni fa. Alla metà del 2011, il Presidente dichiarò che “Assad se ne deve andare”, senza fornire alcuna stima qualificata dell’intelligence americano su quali fossero le prospettive reali. Un anno dopo, Obama tracciò una “linea rossa” rappresentata dall’uso delle armi chimiche da parte siriana, un errore dilettantesco per un Presidente. Infatti, il motivo principale suggerito dai consiglieri della Casa Bianca per andare alla guerra ora è che il Presidente deve salvare la faccia, una giustificazione che nessun americano è disposto ad accettare per lanciare la quarta guerra contro un paese musulmano negli ultimi dieci anni.

Su questo tema si sono annullati gli schieramenti. Repubblicani, Democratici e Indipendenti, in tutti i recenti sondaggi, si oppongono tutti ad un’altra guerra, in particolare in un momento in cui l’economia sta rapidamente declinando in termini reali, cresce la disoccupazione e le infrastrutture di base crollano.

Nonostante i tentativi del segretario di Stato John Kerry di convincere il mondo che l’intelligence sul presunto uso di armi chimiche da parte di Assad sia solidissima, le cosiddette prove fanno acqua da tutte le parti. Il deputato democratico Alan Grayson, fortemente critico del cosiddetto dossier, ha detto ai giornalisti la settimana scorsa, dopo aver ricevuto un briefing confidenziale, di essere rimasto del tutto non convinto. Secondo un alto funzionario dell’intelligence USA, le prove contro il governo siriano sono, nel migliore dei casi, circostanziali, e si basano su una triangolazione di comunicazioni intercettate dai servizi tedesco, israeliano e americano. Ma tali intercettazioni possono essere facilmente manipolate.

Nel frattempo, persiste la forte opposizione all’intervento militare da parte del generale Dempsey e di tutto lo Stato Maggiore, come pure da un vasto numero di alti ufficiali della riserva, che spesso parlano per quelli ancora in servizio. Durante le audizioni della scorsa settimana di fronte alle Commissioni esteri di Camera e Senato, il gen.Dempsey ha ammesso di non capire quale sia la missione dietro i piani per un intervento militare.

Larry Johnson, un ex funzionario della CIA che ha lavorato anche per l’antiterrorismo del Dipartimento di Stato, ha detto il 6 settembre che i suoi amici a Langley gli hanno riferito che gli enti di intelligence americano e britannico sanno che “non è stato Assad”, ma la CIA sotto John Brennan mente deliberatamente e depista i membri del Congresso”.

Al G20 di San Pietroburgo, il Presidente Vladimir Putin ha affermato chiaramente che la Russia appoggerà la Siria, e che gli USA non hanno alcuna autorità secondo il diritto internazionale di eseguire attacchi senza l’autorizzazione esplicita del Consiglio di Sicurezza dell’ONU. Mettendo in dubbio l’accuratezza del “dossier” USA, Putin ha chiesto all’amministrazione Obama di mostrare le prove al Consiglio di Sicurezza, se ne ha. Egli ha anche fatto presente che la maggioranza del G20 si oppone all’intervento americano, anche se dodici paesi membri hanno firmato una dichiarazione che sostiene le ragioni USA, pur senza parlare di intervento.

Putin ha fatto seguire i fatti alle parole, dispiegando una forza navale di fronte alle coste siriane. Autorevoli strateghi americani, tra cui Lyndon LaRouche, hanno ripetutamente ammonito che un attacco USA alla Siria potrebbe scatenare una guerra che potrebbe rapidamente escalare in un conflitto termonucleare. Giuristi del calibro di Francis Boyle, Bruce Fein e Paul Craig Roberts hanno avvisato Obama che un intervento senza approvazione del Consiglio di Sicurezza dell’ONU sarebbe un atto di aggressione bellica e costituirebbe un crimine contro l’umanità secondo i Codici di Norimberga e la Carta dell’ONU. Darà ascolto Obama a tali avvertimenti?