L’economista, statista, filosofo, scienziato e poeta americano Lyndon H. LaRouche, Jr. è deceduto all’età di 96 anni, martedì 12 febbraio 2019, nel giorno dell’anniversario della nascita di Abramo Lincoln, un Presidente degli Stati Uniti d’America che Lyndon LaRouche amava molto e che più volte celebrò nei suoi scritti.

Coloro che lo conobbero e amarono, sanno che con la sua dipartita l’umanità subisce una grave perdita e le persone attive nel suo movimento rinnovano la propria dedizione al compito di rendere concrete le grandi idee per le quali la storia gli renderà onore.

Coloro che non lo conobbero, o che solo recentemente si sono avvicinati alle sue idee, possono conoscerne la personalità leggendo le sue parole. Nella seguente registrazione possono ascoltare Lyndon LaRouche parlare del significato della vita, durante una conferenza del 1988, uno degli anni nel corso dei quali fu vittima di una persecuzione politica e giudiziaria assai simile, per alcuni aspetti notevoli di attenzione, a quella cui è sottoposto l’attuale Presidente degli Stati Uniti d’America:

[Trascrizione] Non esiste una parte della società, una parte dell’elettorato che non abbia gli stessi interessi. Non v’è popolo, di alcuna nazione, che abbia interessi differenti da quelli di qualunque altra nazioni, relativamente a questo problema. Stiamo parlando del futuro di centinaia di milioni di anime non nate, senza il cui successo le nostre vite non hanno significato. Questo è l’interesse comune che unisce tutti noi, tale che non vè distinzione tra di noi, relativamente a questo problema, a questa causa, a questo interesse. Se combattiamo mossi dall’amore per l’umanità, pensando in particolare a quelle centinaia di milioni di anime in attesa di nascere e pensando anche a coloro il cui martirio o sacrificio ci ha dato quel che era il nostro potenziale e il nostro debito nei loro confronti, trasmettiamo loro un futuro.

Pensiamo alle nostre vite non come a qualcosa di vissuto momento dopo momento, ma come a un piccolissimo brano di esperienza, con un inizio e con una conclusione non troppo tardiva. Pensiamo alle nostre vite non come a esistenze vissute per il piacere ivi contenuto, ma come a occasioni di raggiungere uno scopo, un obiettivo riflesso in ciò che lasceremo in eredità a quelle centinaia di milioni in attesa di nascere. Se, in qualche momento, dovessimo interrompere la nostra vita mortale avendola dedicata ad assicurare la causa di quelle centinaia di milioni di anime in attesa di nascere, potremmo camminare con gioia verso la morte, poiché sapremo di aver ben speso la nostra vita, di aver fatto il nostro dovere. Forse, essendo stati in parte ostacolati nel suo maggior compimento, ma ammettendo comunque di aver ben speso la vita. La gioia della vita, la vera gioia della vita in relazione a ciò che il Nuovo Testamento (Corinti, 13) chiama agape in greco antico, caritas in latino e charity nella bibbia di Re Giacomo, è quella qualità di caritas, quella qualità di amore sacro che ci unisce, individui, alle centinaia di milioni di non nati, per il cui amore possiamo dare le nostre vite, e con i quali possiamo camminare nella sorridente gioia, sapendo che, in un certo senso, essi pure ci amano, benché non siano ancora nati.

Ciò dà senso alla vera importanza delle nostre vite, la vera gioia di essere un individuo umano vivente. Dobbiamo lavorare assieme seguendo il senso di quella attitudine verso l’umanità, verso quell’umanità storica che costituisce una grande famiglia che molto deve alle generazioni passate, mentre la generazione presente deve alle generazioni future. L’amore che unisce la famiglia è, in fatto di opere, l’espressione pratica della fede, dalla quale deriva il vigore per combattere e vincere questa guerra. Così facendo, sono sicuro, vinceremo. Ciascuno di noi è piccolo, è un individuo. Ma se ci uniamo, se ci uniamo per questa causa, sapremo che ciascuno di noi, in qualità di individuo, in questo modo unito, renderà possibile la prosperità. Quindi, in questo momento terribile per il genere umano, in cui la civiltà come la conosciamo da centinaia di anni rischia di andare perduta, nei prossimi decenni, rischiamo di perdere la civiltà. Ma abbiamo anche la possibilità di una soluzione eroica alla crisi, di diventare generazioni che, di fronte alla coppa dei Getsemani, l’hanno accettata, ed hanno perpetuato, nell’imitazione di Cristo, la causa della salvezza delle anime future”.

Un anno dopo, quando fu incarcerato, scrisse nel giorno del compleanno di Martin Luther King, il 17 gennaio 1990:

“Coloro tra noi che si ritrovano nel giardino dei Getsemani, in cui dobbiamo assumere un ruolo di leadership pensando a Cristo in croce, sperimentano spesso qualcosa che la maggior parte delle persone non conosce. Tendiamo a considerare le cose da un punto di vista differente. Prima di cercare di spiegare come vedo il periodo recente, e il periodo che ci attende, dovrei comunicare quale sia il mio punto di vista, un punto di vista che è condiviso in vari gradi di approssimazione da chiunque sia stato a Getsemani con la vista della croce negli occhi, e dice ‘Lui l’ha fatto, ora mi dicono che devo farlo anche io, camminare sul Suo percorso’.

“Quello che suggerisco spesso, nel cercare di spiegare questo ad una persona che non l’ha sperimentato, è dire: ‘immagina un periodo 50 anni dopo la tua morte, Immagina un momento, tra 50 anni, in cui tu possa diventare conscio e guardare tutta la tua vita mortale, vederla come un’unità. Immagina di affrontare la questione della vita mortale chiedendoti “questa vita era necessaria nello schema totale dell’universo e l’esistenza del genere umano, era necessario che nascessi per condurre quella vita, la somma totale degli anni trascorsi tra la nascita e la morte? Ho fatto qualcosa, o la mia vita ha rappresentato qualcosa, che ha dato dei benefici alle generazioni attuali e implicitamente alle generazioni future dopo di me?” Se è così, avrai percorso la tua vita con gioia, sapendo che ciascun momento è stato prezioso per tutto il genere umano, perché ciò che ho fatto vivendo era qualcosa di utile per il genere umano, qualcosa da cui ha tratto beneficio tutto il genere umano”.

In seguito, parlando del genio unico di Martin Luther King nel gennaio 2004, LaRouche disse:

(Stralci da un discorso di LaRouche alla preghiera per Martin Luther King del 19 gennaio 2004, indetta dalla Conferenza democratica della Contea di Talladega (Alabama)

“Stiamo tutti mortali. E per far nascere in noi la passione, quando siamo in vita, che ci spingerà a fare del bene, dobbiamo avere il senso che la nostra vita, spendere il nostro talento, significherà qualcosa per le generazioni future. Guardare, come Mosé, a ciò che accadrà quando non ci saremo più a goderne i benefici. Si tratta di un senso di immortalità. E’ il motivo per cui i genitori fanno tanti sacrifici per i loro figli. E’ il motivo per cui le comunità si sacrificano per una buona istruzione per i loro figli, per dare delle opportunità ai loro figli. Sei pronto a fare la fame, sapendo di andare verso qualcosa, che la tua vita significa qualcosa. Che puoi morire con un sorriso sulle labbra: hai sconfitto la morte. Hai speso il tuo talento in modo saggio, perché la tua vita porterà a qualcosa di meglio per le generazioni future”.