Il Regno Unito e la Commissione Europea spingono i paesi europei, in particolare Germania e Italia, a recidere i legami di “dipendenza” energetica da Mosca. Per discutere di “alternative”, il Premier britannico David Cameron e Matteo Renzi hanno annunciato da Downing Street il 1 aprile che si terrà un “G-7 sull’energia” ai primi di giugno a Roma.

L’obiettivo britannico è chiaro: far sì che l’Europa torni ad essere dipendente dalle forniture di petrolio e gas dai paesi produttori controllati dalla City di Londra, come ai tempi dell’accordo Sykes-Picot. Si tratta di una vera e propria chimera.

I 125 miliardi di metri cubi che Gazprom fornisce all’Europa ogni anno non possono essere sostituiti da altre fonti, perlomeno non per molti anni ancora. Un volume limitato di gas potrebbe essere fornito dalla Norvegia via gasdotti, ma il resto dovrebbe essere acquistato in forma di gas liquefatto (GNL) dal Qatar o da altri paesi del Golfo e trasportato su navi speciali. Per soddisfare completamente il fabbisogno, ci vorrebbero 1390 navi ognuna con 150 mila metri cubi di GNL. Poi ci vorrebbero almeno dieci rigassificatori delle dimensioni di quello di Maasvlakte a Rotterdam, che costa 800 milioni e ha una capacità di 12 miliardi di metri cubi annui.

In Italia ci sono quattro rigassificatori, il più grande dei quali è quello di Rovigo con una capacità di 8 miliardi di metri cubi.

La soluzione più ragionevole sarebbe quella di accelerare la costruzione del gasdotto South Stream, che trasporterebbe 63 miliardi di metri cubi di gas all’anno, direttamente dalla Russia all’UE eliminando il problema posto dai paesi di transito come l’Ucraina. Il gasdotto attraverserebbe Bulgaria, Grecia, Serbia, Ungheria e Slovenia, e raggiungerebbe l’Italia a Nord e a Sud con un collegamento che attraversa la Grecia. South Stream è costruito da un consorzio costituito da Gazprom (50%), Eni (20%), Edf e Wintershall (15% ognuna).

La Saipem, del gruppo Eni, ha appena firmato un contratto del valore di due miliardi di dollari per la posa dei tubi nel tratto sotto il Mar Nero. La Siemens si è aggiudicata l’appalto per i sistemi elettrici, di controllo e strumentazione per lo stesso tratto.

Tuttavia, l’UE e Londra, che hanno sempre osteggiato South Stream, stanno usando la crisi ucraina per seppellire il progetto. La Commissione UE ha sospeso i negoziati per trovare una soluzione alla compatibilità con la normativa europea, che esclude il monopolio delle reti. E mentre il capo di Wintershall ha dichiarato che South Stream è ora più urgente che mai, l’amministratore delegato dell’ENI, Paolo Scaroni, ha detto che vede un “futuro buio” sul progetto. Scaroni, che il governo non riconferma a capo dell’Eni, potrebbe sapere di più sui colloqui tra Renzi e Cameron. Già le voci dicono che gli accordi con la Russia avrebbero pesato sulla decisione di licenziarlo.