Il 18 maggio Angela Merkel e Emmanuel Macron hanno estratto un coniglio dal cilindro in una teleconferenza congiunta per la stampa, annunciando la proposta franco-tedesca di un “Recovery Fund” di 500 miliardi finanziato con obbligazioni emesse sul mercato dalla Commissione Europea, che sarebbero ripagate tramite il bilancio dell’UE. La cifra è meno impressionante di quello che sembra. Intanto siamo scesi a un terzo dei 1500 miliardi originalmente proposti dalla Spagna e stiamo parlando del 3% del PIL complessivo dei Paesi membri dell’UE, che distribuito sui tre anni di attività prevista del fondo fa l’un per cento. Non è chiaro quanti fondi saranno dati in prestito e, di questi, quanti a fondo perduto – quest’ultima opzione avversata dai falchi guidati da Austria e Olanda. Benché il fondo sia previsto entrare in funzione nel 2021, chiunque abbia familiarità con i mercati sa che piazzare cinquecento miliardi di obbligazioni non si fa dall’oggi al domani ma richiede tempo. Quindi il Recovery Fund, nella migliore ipotesi, arriverebbe a babbo morto.
E nel caso arrivasse, la Commissione dell’EU ha già proposto di dedicarne la metà, 230 miliardi, alla “mobilità a emissione zero”, e cioè all’auto elettrica, nell’ambito dell’utopistico piano di “decarbonizzazione” e di nutrimento della bolla finanziaria verde perseguito dalle banche d’affari che stilano i programmi della Commissione.
Ma a parte tutto ciò e ammesso che i fondi siano elargiti ai Paesi più gravemente colpiti dalle conseguenze economiche della pandemia, come avrebbero assicurato Merkel e Macron, solo la Spagna, in quanto beneficiario netto del bilancio dell’UE, ricaverebbe un saldo conveniente nell’attingere al Recovery Fund. Per l’Italia, terzo pagatore netto, il bilancio economico complessivo non sarebbe conveniente, tenuto conto che per ripagare i bond lanciati sul mercato il bilancio dell’UE dovrebbe direttamente o indirettamente aumentare, e tenuto conto della sorveglianza di bilancio che si farebbe sicuramente rigida per garantire l’assenso dei falchi.
La vera cifra della proposta “Merkron”, pertanto, è quella politica. Essa è una risposta alla sentenza della Corte Costituzionale tedesca del 5 maggio, che ha ristabilito il primato della legge nazionale su quella europea, specificando che l’UE non è uno stato federale. La “Merkron” rappresenta proprio un passo nella costruzione di uno stato federale, creando un debito dell’Unione verso i mercati finanziari che non sarà più suddiviso secondo criteri proporzionali come quelli del “capital key” finora adottato dalla BCE.
Non a caso, la City di Londra ha accolto la mossa con grande fanfara, descrivendola (a torto) come un “momento hamiltoniano”, trasponendo formalmente la creazione del debito e del bilancio federale americano da parte di Alexander Hamilton alla chimera sovrannazionale degli Stati Uniti d’Europa. L’INET, l’Istituto per un Nuovo Pensiero Economico fondato da George Soros nel 2008, ne ha discusso il 20 maggio in un webinar intitolato “Europe’s Hamiltonian Moment… or the beginning of the End?”.