Alexei Puškov presiede la Commissione Affari Esteri della Duma, il parlamento russo ed è anche direttore dell’Istituto degli Studi Internazionali Contemporanei dell’Accademia diplomatica del Ministero degli Affari Esteri della Russia.


Autore di numerosi libri, è docente presso l’Istituto per le Relazioni Internazionali di Mosca. Ha concesso questa intervista a Claudio Celani e Dean Andromidas, per l’Executive Intelligence Review l’8 aprile a Strasburgo, ai margini dell’Assemblea Plenaria del Consiglio d’Europa.

EIR: Ieri Tony Blair ha dichiarato alla BBC che egli considera “terribile” il fatto che l’estate scorsa l’Occidente non sia intervenuto con la forza in Siria. In più occasioni lei ha parlato dei pericoli associati a un tale intervento militare. Pensa che coloro che volevano una “grande guerra” intorno alla questione siriana cerchino oggi di scatenarla in Ucraina?

Alexei Puškov: [Il Sen. John] McCain e tutti coloro che si lamentano del mancato intervento in Siria parteggiano per la dottrina del “cambiamento di regime”. Non si tratta di democrazia, ma di cambiamenti di regime nei Paesi i cui governi sono considerati dalle forze neo-conservatrici, alle quali sicuramente il Sig. Blair appartiene, in contraddizione con gli interessi del mondo occidentale. Per rovesciare questi governi certe persone, come il Sig. Blair, sono pronte a sacrificare la vita di tanti soldati americani e britannici, quanti ne ritengono necessari.

Penso che il Sig. Blair sia sinceramente odiato nel proprio Paese. Vi sono stati alcuni tentativi di portarlo in tribunale, in merito alla fabbricazione delle prove giustificanti la guerra contro l’Iraq. Egli ha tradito il proprio Paese. Le sue azioni hanno condotto alla morte circa mille soldati britannici e secondo ogni norma, gente come il Sig. Blair dovrebbe essere giudicata da un tribunale internazionale. Sfortunatamente non lo è e continua a evocare nuove guerre – una guerra contro la Siria.

Per ora il suo piano è fallito e penso che coloro che volevano una guerra in Siria abbiano deciso di usare la situazione di piazza Maidan, in Ucraina, per arrivare a un cambiamento di regime in quel Paese. Questo è avvenuto, poiché non nutriamo alcuna illusione in merito: a Maidan c’è stata una grossa presenza occidentale. Abbiamo visto dei ministri degli esteri e parlamentari occidentali recarsi sul luogo e fare appello essenzialmente al rovesciamento del governo al potere, un governo legittimo, eletto dalla popolazione. E questa è la ragione per la quale gli stessi politici e gli stessi circoli politici cercano di chiudere gli occhi tanto davanti alle forze di estrema destra e neonaziste in Ucraina quanto davanti al carattere illegale delle autorità di Kiev, e al fatto che si è trattato senza ombra di dubbio di un colpo di stato.

Di conseguenza, sì, penso che essi non cerchino soltanto di rivalersi in Ucraina, ma che si tratti di un approccio sistematico consistente nel cambiare il regime in qualunque Paese che essi ritengono di dover integrare nella sfera d’influenza della NATO e degli Stati Uniti. Così, penso che tale sia l’obiettivo, e che ciò possa accadere in Ucraina ma anche in Kirghistan, in Siria e in tanti altri Paesi.

E dunque sì, l’Ucraina fa parte della successione dei cambiamenti di regime che hanno avuto luogo nel mondo, nel corso degli ultimi anni, cominciando dalla Serbia, passando per l’Iraq, la Libia e via dicendo.


Dietro il pericolo di guerra: il fallimento del sistema transatlantico

EIR: Il fondatore dell’EIR, Lyndon LaRouche, ha dichiarato molte volte che la forza motrice dietro questa politica di scontro capace di condurre alla guerra è il fallimento dell’intero sistema finanziario transatlantico, quello della City di Londra e della sua giovane ancella, Wall Street. Dopo la crisi del 2008 la bolla dei prodotti derivati speculativi s’è gonfiata ancor di più e ormai si trova sul punto di esplodere. Lei pensa, come altri in Russia, che il vostro Paese possa cogliere l’occasione “offerta” da queste sanzioni per accelerare il processo di liberazione dai centri offshore [“deoffshorizzazione”] e di sganciare la vostra economia dal sistema traballante di Londra, New York e Basilea?

Alexei Puškov: Penso che, indipendentemente dal fatto che la Russia colga o meno l’occasione, le sanzioni che le sono imposte dall’Occidente la condurranno inesorabilmente a rivedere le sue politiche economiche e finanziarie. Non credo che sia una scelta dalla Russia, da un certo punto di vista; il fatto è che siamo posti in una situazione per la quale dobbiamo contare molto di più su noi stessi.

Sullo sganciamento dell’economia dal sistema di Londra, New York e Basilea, non credo che sia una cosa facile. Londra e New York sono dei centri estremamente importanti sul piano economico e finanziario, e noi possiamo vedere che tutti gli attori del mondo hanno legami importanti con questi centri di potere: i cinesi, il mondo arabo, ecc. Così, non penso che il mondo degli affari russo si dia per obiettivo la rottura di tutti i legami con i mercati borsistici di Londra e New York, e con le banche che vi si trovano, ecc.

Tuttavia, in una certa misura noi saremo obbligati ad operare su una base più nazionale. La Russia non aveva, per esempio, un proprio sistema nazionale di carte di credito, e doveva fare ricorso a Visa, Mastercard e alle altre carte accettate a livello internazionale. Ora abbiamo deciso di creare un circuito nazionale di carte, ovviamente valido esclusivamente sul territorio della Federazione Russa. Finora non avevamo niente del genere; eravamo totalmente dipendenti dai sistemi esistenti all’esterno della Russia, controllati dal governo americano. Nel momento in cui Visa e Mastercard hanno deciso di bloccare l’attività di certe banche, prima di ravvedersi (in almeno un caso, dopo aver affermato che vi era stato un errore di valutazione), noi abbiamo raccolto il messaggio.

Abbiamo compreso che non possiamo fidarci interamente di queste ditte, poiché, essendo domiciliate negli Stati Uniti, devono sottomettersi alla legge americana. Questo è un esempio minore, ma mostra efficacemente come il sistema finanziario russo stia rivedendo i suoi legami.

Penso anche che tra le conseguenze di questo cambiamento di politica economica ci sarà l’approfondimento delle nostre relazioni con le economie dell’estremo oriente, come quella cinese, e quelle del Sud-Est asiatico. Questi Paesi non hanno emesso sanzioni contro la Russia. Nemmeno il Giappone, che credo abbia congelato i negoziati sul regime dei permessi [di percorrenza libera dei territori russo e giapponese, NdR] non ha emesso sanzioni economiche contro la Russia. I cinesi ci hanno sostenuto durante questa crisi e i Paesi dell’Asia, come la Corea del Sud, la Malesia e Singapore, hanno il proprio approccio, che è del tutto diverso da quello dei Paesi della NATO.

Così, credo che la Russia dovrà riorientare una parte della sua economia, incluse le esportazioni del gas e del petrolio, verso l’Oriente, laddove si situa, sempre più, il baricentro del potere economico. Non si tratterà di uno sganciamento consapevole della sua propria economa, ma soltanto del fatto che le conseguenze delle sanzioni ci condurranno a fare qualcosa che non avremmo fatto, se posti in una situazione differente. Noi dovremo semplicemente trovare dei nuovi mercati e delle nuove occasioni per svilupparci.


La cooperazione sull’Afghanistan in pericolo

EIR: Ciò ci porta alla prossima domanda, che riguarda lo sviluppo dell’Asia. Victor Ivanov, capo dell’ente russo di lotta agli stupefacenti, ha annunciato lo scorso novembre un piano di ambizioso contro la produzione dei narcotici in Afghanistan. Esso dovrebbe includere un serio sforzo di industrializzazione, insieme a progetti idroelettrici e infrastrutturali. Queste idee, comprendenti la creazione di una Società per lo Sviluppo dell’Asia Centrale, sono state accolte bene da certe personalità europee, come il parlamentare europeo Pino Arlacchi, ex dirigente dell’Ufficio delle Nazioni Unite contro il crimine e gli stupefacenti. Nel frattempo il G8 è stato annullato. Lei ha già risposto in parte, ma pensa che la Russia possa perseguire questa politica di sviluppo, in particolare dell’Eurasia, con la Cina, l’India e altri Paesi del Sud e dell’Est dell’Asia?

Alexei Puškov: Questa decisione della NATO di congelare la nostra collaborazione sull’Afghanistan fino al prossimo giugno condurrà definitivamente, se sarà seguita da un’altra fase di sospensione, all’assenza di collaborazione tra Russia e Occidente sull’industrializzazione dell’Afghanistan. Essa condurrà probabilmente a una riconsiderazione della concessione delle vie di transito delle truppe NATO, del materiale e delle installazioni in Afghanistan. Due rotte sarebbero previste: una per via aerea, l’altra per via ferrata, passando per il territorio della Federazione Russa. Penso che il piano di industrializzazione dell’Afghanistan pagherà il prezzo di questa decisione politica.

Non abbiamo fatto noi questa scelta. Avremmo preferito proseguire la collaborazione sull’Afghanistan, ma qui, intendiamoci, la NATO ci ha, direi, posti in una situazione molto difficile, tagliando tutti i programmi congiunti con la Russia. Ad un certo punto, se la NATO continuerà la sua politica di ridurre le sue relazioni con la Russia, la Federazione Russa potrà anche assumere certe decisioni che non saranno, probabilmente, accolte con piacere dalla NATO. Queste decisioni renderanno impossibile ogni collaborazione futura sull’Afghanistan.

Se ci riferiamo a uno sviluppo più ambizioso in Eurasia, penso che la Russia si sia già impegnata in un progetto importante, che è quello dell’Unione doganale. Essa è già in funzione, e credo che l’Armenia vi aderirà nel 2014, portando a quattro il numero dei Paesi partecipanti. Altri Paesi dovrebbero unirsi: so che l’India vorrebbe uno status opportuno a riguardo, e che altri Paesi hanno espresso un certo interesse.

Così, nazioni come la Cina, l’India e altre, che sono i nuovi leaders dello sviluppo economico, saranno per noi importanti, per il nostro sviluppo economico futuro. Purtroppo i legami economici con l’Occidente possono soffrire di certe decisioni politiche. Ciò non dovrebbe accadere nel caso dei Paesi asiatici. Questi non cercano affatto di dettarci qualche condizione politica; essi hanno non adottato alcuna sanzione nei confronti della Russia. Essi ci considerano come partner e non come un Paese che dovrebbe seguire i consigli dell’Occidente. C’è una grande differenza nelle nostre relazioni con i Paesi orientali, rispetto ai Paesi occidentali.

Mentre facciamo affari con l’Occidente, abbiamo sempre l’impressione di essere sottomessi a delle pressioni, a delle critiche; ci viene detto quel che dovremmo fare e quel che non dovremmo fare, come se a New York e a Bruxelles sapessero meglio di noi russi ciò che dovremmo fare e ciò che sarebbe ottimo per i nostri interessi nazionali. I cinesi, gli indiani, i malesi e i sud-coreani, persino i giapponesi, hanno un approccio completamente differente. Essi pensano che, nella stessa maniera in cui si decide a Tokyo e a Seul, i Russi possono decidere per sé stessi a Mosca. Ciò ha creato un contesto politico molto favorevole allo sviluppo della cooperazione economica.


Difesa della Terra e fantasmi geopolitici

EIR: Un numero crescente di americani, inclusi militari e politici, sono d’accordo con LaRouche nel dire che il Presidente degli Stati Uniti agisce in modo pericoloso, in un gioco che potrebbe portare alla guerra termonucleare tra gli Stati Uniti e altri Paesi, come la Russia e la Cina. Alcuni si spingono a dire che Obama dovrebbe essere destituito immediatamente, anche solo per questo motivo. Altri sono turbati a causa della cessazione di ogni cooperazione tra la Russia e gli Stati Uniti in molti campi, dall’esplorazione spaziale alla ricerca sull’energia nucleare.

Lei ha dichiarato che i Paesi dovrebbero lavorare insieme per difendere il pianeta dagli asteroidi e dalle meteore – l’Iniziativa di Difesa della Terra. Che cosa direbbe oggi dell’importanza di una cooperazione internazionale per risolvere tali problemi comuni dell’intera umanità?

Alexei Puškov: Direi che sfortunatamente vi è una buona parte della classe politica di numerosi Paesi influenti (degli Stati Uniti in primo luogo) che è accecata da alcune considerazioni geopolitiche, dalla brama di dominio del mondo. Questo fenomeno porta il nome di “leadership americana”, ma penso che il Sig. [Zbigniew] Brzezinski l’abbia espressa in modo più diretto: la “egemonia americana”. Questo obiettivo, quello appunto dell’egemonia americana, è un falso obiettivo. È un male per gli Stati Uniti, poiché sposta il potenziale del Paese verso qualcosa che può esporlo a un pericolo, molto più che promuoverne gli interessi.

Allorché dico che i Paesi dovrebbero lavorare insieme per difendere la Terra dagli asteroidi e dalla meteore, si può ricavare l’impressione di pericoli lontani ma in realtà, se consideriamo i dati scientifici dell’ultimo decennio, vedremo che in due o tre occasioni degli asteroidi di grandi dimensioni sono passati a una distanza dalla Terra che, nella scala cosmica, equivale a [la sezione di] un capello. Trecento milioni di km sono quasi un niente! Un piccolo cambiamento intervenuto durante il volo e tale oggetto ci colpirebbe… E allora nulla avrebbe importanza: sapere se la Sig.ra Hillary Clinton sarà la prossima Presidente degli Stati Uniti o no; che cosa il Sig. Robert Kagan pensi seduto alla sua scrivania di Washington; che cosa pensino gli Stati Uniti della riunificazione della Russia e della Crimea. In un attimo le cose riprenderebbero, potremmo dire, il loro vero valore. E il vero valore delle cose ci direbbe che avremmo mancato l’occasione di difenderci da una maledizione ben più grande, perché presi dall’inseguimento dei fantasmi del Sig. Robert Kagan su come gli Stati Uniti avrebbero potuto dominare il mondo.

Così, penso che questi falsi obiettivi siano qualcosa che acceca la classe politica americana. Non tutti, naturalmente: so che alcuni, direi il 10%, al Congresso e al Senato, dànno prova di buon senso. Ma la maggioranza è accecata da questa questione. È come se la cosa più importante del mondo fosse il dire agli altri come si debbano comportare, a che cosa dovrebbero assomigliare, sia in casa che all’estero, e quale tipo di democrazia dovrebbero adottare! Ma in presenza di un crisi climatica globale, con un aumento dei livelli degli oceani anche di un solo metro, la metà di New York sarebbe sommersa e così, in un solo istante, vedremmo che non è poi così importante ciò che in questi momenti accende i dibattiti negli Stati Uniti. Ciò che importa è il sapere come l’umanità possa sopravvivere.

Sfortunatamente, temo che siamo più prossimi di quanto si pensi a una tale situazione, e nulla è stato fatto a riguardo. Non è stato avviato, per esempio, alcun programma per usare le nostre capacità, in termini di missili, per combattere contro gli asteroidi. Questo problema “non esiste!” Ma c’è, naturalmente, un programma di miliardi e miliardi di dollari, per costruire un sistema antimissile che cercherà di neutralizzare il potenziale nucleare della Russia.

Che cosa pensare? Che cosa significa? Non è una forma di cecità? Di mancanza di cervello? O soltanto un’idea illusoria di potenza con cui ci si autocompiace? Ho paura che qualcosa arrivi a mostrarci quanto certi obiettivi geopolitici avessero un’importanza relativa, ma sono stati posti davanti a tutto, come la cosa più importante al mondo. Vi sono altre questioni ben più importanti, e se noi non ne prendiamo coscienza in noi stessi, sarà il corso degli avvenimenti a mostrarci che avevamo torto.