Nonostante le smentite dell’amministrazione Obama, ci sono prove del fatto che l’assassinio dell’ambasciatore americano in Libia Chris Stevens e di altri tre funzionari americani l’11 settembre siano stati un attacco premeditato, altamente professionale, condotto da organizzazioni legate ad Al Qaeda, sfruttando la copertura delle proteste di fronte al consolato mentre la Casa Bianca sostiene che gli Stati Uniti “non disponevano di informazioni utili” sull’attacco. In realtà i funzionari americani a Bengasi erano stati avvisati del pericolo almeno 72 ore prima. Il 27 agosto il Dipartimento di Stato aveva emesso un avviso dettagliato per chi viaggia, informando i cittadini americani di evitare tutti i viaggi non indispensabili in Libia e segnalando specificamente l’aumento della violenza politica nell’area di Bengasi.

Eppure, l’amministrazione Obama non ha fornito le necessarie misure di sicurezza al consolato di Bengasi. Non c’erano i soliti marines di guardia all’esterno e la sicurezza era nelle mani di una società privata del Qatar (!). In genere, ci si è affidati troppo alla commissione di sicurezza pubblica di Bengasi, infiltrata da agenti dell’estremistica Ansar al-Sharia.

Le comunicazioni intercettate tra i leader di Al Qaeda nel Maghreb islamico e i membri di Ansar al-Sharia a Bengasi il giorno dell’attacco hanno fornito ulteriori prove che l’azione fosse stata ordinata dagli alti livelli di Al Qaeda. Inoltre, il giorno dopo gli omicidi, Al Qaeda nella penisola arabica li ha rivendicati, definendo l’assassinio dell’ambasciatore Stevens “una vendetta”.

Sono molte le spiegazioni che devono dare i più alti livelli dell’amministrazione Obama. Tra le domande da porre c’è da chiedersi se ci fossero informazioni sull’attacco nel Briefing Presidenziale Quotidiano di Obama, il briefing di intelligence più importante per tutto il governo, che avessero messo in guardia sul pericolo in Libia. LaRouche ha ribadito per questo la sua richiesta di destituzione di Obama.

Eppure, nonostante l’evidenza dei fatti, Obama continua a promuovere la storiella che il rovesciamento di Gheddafi abbia condotto ad una “transizione democratica ” in Libia. In realtà, l’intervento americano, anticostituzionale, ha provocato rivolte jihadiste in altre parti dell’Africa, a partire dal vicino Mali fino alla Siria. Qui, i paesi occidentali si sono alleati con i ribelli jihadisti nella folla corsa al rovesciamento del Presidente Assad. Solo la scorsa settimana, il capo di Al Qaeda, Ayman al-Zawahiri, ha pubblicato un video in cui chiede ai combattenti salafiti di far cadere il governo Assad ed erigere uno stato fondamentalista islamico in Siria.

La destabilizzazione si è già estesa alla confinante Turchia, dove l’esercito è impegnato in una guerra controinsurrezionale contro il Partito Curdo (PKK) e centinaia di migliaia di profughi siriani stanno creando una crisi umanitaria ed economica per il governo Erdogan.

Nel frattempo sia il governo Cameron in Gran Bretagna che il governo Netanyahu in Israele esercitano pressioni per un intervento militare diretto contro Siria ed Iran. La regione del Sud Ovest asiatico comincia a somigliare ai Balcani alla vigilia della prima guerra mondiale.

In questa situazione estremamente tesa, si tengono le più vaste manovre navali nella storia del Golfo Persico, in cui partecipano 25 paesi, mentre Gran Bretagna e Francia conducono simultaneamente manovre navali congiunte nel Mediterraneo orientale, al largo della costa siriana. Nei due giochi di guerra separati, sono stati dispiegati complessivamente sei gruppi di portaerei in prossimità di Siria e Iran. Con leader politici irresponsabili a Londra, Parigi e Washington, e con l’imponente dispiegamento militare in Medio Oriente, il pericolo di guerra è il più alto dalla seconda guerra mondiale.

L’attacco di Bengasi va visto in questo contesto.